Borse ancora altalenanti

La settimana appena trascorsa per le borse ha confermato la fase volatile che i listini stanno attraversando in questo inizio di 2022, con repentini cambi di trend e di umore degli investitori.

Se la prima parte dell’ottava, infatti, ha visto germogliare i semi del rimbalzo posti nella settimana precedente, successivamente le dinamiche delle borse hanno visto tornare dubbi e incertezze, con casi di ribassi anche eclatanti (come Facebook e Paypal con i loro -25%). Segnali, da parte dei listini, che suggeriscono come il nuovo anno abbia decisamente pochi tratti in comune rispetto al precedente, dopo i massimi raggiunti dalle borse tra fine 2021 ed inizio 2022. L’indice globale MSCI World chiude comunque la settimana con un progresso dell’1,9%, ma con chiusure sotto i massimi settimanali. Dopo poco più di un mese dall’inizio dell’anno, praticamente tutte le aree regionali (USA, Europa, Giappone ed Emergenti) propongono un saldo negativo. Gli alti e bassi e le inversioni a ‘’U’’ delle borse confermano la necessità di ulteriori consolidamenti per permettere agli investitori di poggiare i piedi su un terreno solido e non troppo argilloso a causa delle incertezze su dinamiche macro, politica monetaria e utili aziendali.

Wall Street ha inizialmente guidato i rimbalzi dei prezzi dopo la correzione di gennaio (drawdown per S&P 500 del 12% e del Nasdaq del 17%), rimbalzi anche corposi dai minimi ma che hanno trovato ostacoli tecnici abbastanza telefonati. L’S&P 500 dai minimi di area 4.300 rimbalza fino a quota 4.600, mentre il Nasdaq 100 dai 14.000 ha blandamente toccato i livelli ai 15.000 prima di fermarsi. L’ampiezza di questi recuperi già da l’idea delle difficoltà che continua a trovare l’indice tecnologico, alla presa stavolta con due profit warning pesanti, quelli di Paypal e soprattutto Meta, visto il peso di quest’ultimo nella capitalizzazione dell’indice. Attese di crescita non mantenute (con la vecchia Facebook in vera e propria crisi di identità aziendale) che sulla bilancia si sono confrontate con le buone performance di bilancio di Alphabet e Amazon. L’indice Vix (volatilità) ha mimato una discesa verso quota 20 per poi risalire successivamente, confermando quindi l’irrequietezza del mercato. I minimi di gennaio per gli indici USA restano livelli chiave per evitare pericolose involuzioni ribassiste.

L’effetto trascinamento in altalena sulle altre borse c’è stato, ovviamente, con l’Europa che non ha saputo smarcarsi molto agli andamenti di Wall Street e anzi, nella giornata di giovedì, aveva già preso la via dei ribassi dopo la riunione della BCE, da cui non sono arrivate nel complesso buone notizie per l’azionario. L’onda lunga della normalizzazione della politica monetaria promette di arrivare anche nel Vecchio Continente, con ritardo e forse non con la stessa intensità ma in modo sufficiente per infastidire il corso dei listini europei, finora più stabili di quelli USA.

Piuttosto chiaro invece in termini settoriali dove le tensioni rimangono palpabili: il saldo settimanale è positivo per i settoriali Growth, ma con un close sotto i massimi e con un risultato da inizio anno ancora piuttosto sfavorevole nonostante i rimbalzi dai minimi. Difensivi, energia e finanziari rimangono gli slot dove trovare riparo grazie alle dinamiche positive del petrolio, dei tassi e di un sentiment più prudente degli investitori circa la dinamiche di crescita del 2022.

In ambito commodities, il tono resta ancora positivo: il paniere generale archivia un’altra settimana positiva, portando il saldo annuale ad un rotondo +10%. Il boost viene ancora dall’energia, grazie al WTI Crude Oil che supera quota 90 Dollari al barile, sospinto dalla domanda ancora forte. Upside anche per rame e nickel mentre l’oro è rimasto stabile in area 1.800 Dollari l’oncia.

Le dinamiche di nervosismo dell’azionario potevano suggerire una possibile contropartita positiva proveniente dall’asset class obbligazionaria, che, però, in questo momento non offre gran che supporto. Praticamente tutti i segmenti obbligazionari da inizio anno (al lordo dell’eventuale effetto cambio) non mostrano segni positivi, con passivi più o meno pesanti e ricollegabili a due grandi temi: da un lato l’aumento dei tassi generalizzato a livello globale, dall’altro l’allargarsi gli spread di credito nelle esposizioni più equity-like. Per quanto riguarda i governativi, il decennale USA, dopo la volata che a gennaio ha raggiunto nuovi top sopra quota 1,90% (con successivo consolidamento), ora sta cercando un vero e proprio colpo da ‘ko’ per raggiungere nuovi target tecnici. La costruzione tecnica dell’yield del decennale USA resta rialzista dal punto di vista tecnico: la chiusura settimana vede un close a quota 1,91%, con un ritocco di alcuni basis point dei livelli top di gennaio.

Per una volta, però, i movimenti più corposi non sono arrivate dalla sponda ovest dell’Atlantico ma dall’Europa, dove nella giornata di giovedì vi è stato un forte upside dei rendimenti dei titoli governativi. Il Bund, dopo essere riemerso dai rendimenti negativi appena qualche giorno fa, si è riportato a quota 0,20% (scadenza decennale), livelli che non si vedevano da inizio 2019. Il BTP italiano ad inizio anno ha chiuso l’ottava con un yield all’1,75%, con un aumento di 50 basis point da inizio anno. Movimenti che confermano la generale accelerazione verso l’alto dei rendimenti: dopo il crollo post Covid e un 2021 all’insegna di alti e bassi, il nuovo anno si è aperto con il ritorno verso aree di maggiore normalità. Nel 2017, un titolo italiano a 10Y rendeva attorno al 2%, un Bund tra lo 0,40% e lo 0,50% e un Treasury tra il 2% ed il 2,50%. Difficile dire ora se si tornerà a quei livelli, ma il mercato mostra un mood piuttosto chiaro al momento, spinto anche dai buoni datisul mercato del lavoro.

A dare il ‘la’ all’upside dei rendimenti sui governativi della zona Euro è stata certamente la conferenza stampa della BCE, che segue quella recente della Federal Reserve. La presidente della BCE, Lagarde, ha spiegato come per il momento i tassi non vengano toccati ma che da marzo verrà fatta una valutazione dati alla mano. I fattori di valutazione sono certamente l’inflazione, che rimane molto sostenuta e più radicata di quanto si pensava, ottenendo spinta sia dall’ambito delle materie prime energetiche che dai beni alimentari. Anche in tema di crescita e ripresa, la BCE ha sottolineato un possibile primo trimestre sotto tono, per gli effetti pandemici sulla disponibilità di materiali e manodopera nella produzione. Francoforte è fiduciosa che nel corso dell’anno le dinamiche miglioreranno e questo potrebbe consentire un maggiore riallineamento della BCE che finora era stata particolarmente prudente nel seguire gli esempi della FED (nel wording) e della BOE (che ha alzato i tassi allo 0,50%). I mercati hanno ‘fiutato’ la possibilità, spostando subito delle probabilità di intervento già per giugno e poi nel corso dell’anno. L’attuale -0,50%, infatti, potrebbe diventare 0% verso fine anno.

Il resto dell’obbligazionario ha visto ovvie ripercussioni negative sul corporate, indebolito dall’aumento del risk free e una sostanziale debolezza del segmento high yield: entrambi, da inizio anno, lasciano sul terreno diversi punti percentuali. Deboli anche i mercati emergenti hard currency. In difficoltà gli strumenti legati all’inflazione a causa del forte upside dei tassi reali.

In ambito forex, movimento ‘montre’ (parlando di valute) per il cross Euro Dollaro, che dai minimi in area 1,11 svetta oltre 1,14 dopo le dichiarazioni della BCE che sono andate a diminuire la distanza di politica monetaria con la Fed. Euro forte comunque verso tutte le altre valute sviluppate. Ottimi rimbalzi per le criptovalute.

Fonte: ufficio studi Consultique SpA

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