A livello intermarket le dinamiche viste nelle ultime settimane si sono sostanzialmente confermate in quella che è stata un’ottava con volumi in riduzione a causa delle festività negli Stati Uniti.
La stagionalità positiva continua ad essere una caratteristica di questa fase di mercato, con la volatilità (indice Vix sull’S&P 500) arrivato su un punto particolarmente sensibile (close a 20,5): area 19-20, infatti, non è altro che il punto in cui i mercati hanno concluso i due grandi rimbalzi del 2022, quello di marzo/aprile (dopo lo scoppio della guerra) e quello di agosto (con le prime speranze di un top dell’inflazione USA). Ovvio quindi che si stia per entrare nelle prossime settimane in uno snodo particolarmente importante: le asset class puntano, come tendenza, a sovvertire la negatività del 2022 e che le ha viste accumunate dai segni meno: l’azionario con un nuovo rimbalzo (dai minimi di ottobre) e l’obbligazionario con un calo (anche marcato) dei rendimenti. I comportamenti finanziari degli investitori sono chiaramente legati a doppio filo al quadro macroeconomico e di politica monetaria: le tematiche dell’inflazione e degli atteggiamenti della Fed soprattutto, oltre alle previsioni di quelle che saranno le dinamiche economiche che ne derivano, dominano l’attuale dibattito di mercato. L’attuale momento appare precedere quindi un vero e proprio crocevia dove probabilmente molti nodi verranno al pettine, definendo cosa ci si può aspettare dal 2023, il quale si candida ad essere una possibile propagazione, in termini di tematiche protagoniste, di quanto visto quest’anno.
Le borse terminano l’ottava con un buon progresso per l’azionario globale (MSCI World +1,7%): la settimana precedente era stato un modo per consolidare i precedenti risultati positivi e nelle ultime sedute la ‘promessa’ di una tendenza tonica permane per la gran parte delle borse internazionali. Interessante vedere come l’S&P 500 (+1,6%), quatto quatto, si stia inerpicando nel recupero post minimi di ottobre, riuscendo a chiudere la settimana sopra quota 4.000. Si sta, di fatto, tornando sul ‘luogo del delitto’, quando a metà settembre la fase positiva di breve dell’S&P 500 era franata fragorosamente dopo l’uscita dei dati di inflazione negli USA, niente affatto in calo rispetto alle attese degli analisti. Da quel momento alcune cose sono cambiate: l’inflazione si sta moderando (sia sul fronte consumi sia su quello della produzione) e la Fed, anche attraverso le minute dell’ultimo meeting ragiona su un rallentamento dei rialzi. Al contempo, però, lato macro si sono aggiunte delle perplessità sulla tenuta generale dell’economia USA (almeno su alcuni indicatori) così come sugli utili aziendali, dove il trend di crescita si è praticamente arrestato. Il mercato sta, a tutti gli effetti, pensando (e sperando) molto sul fronte di una Fed meno belligerante, rimandando a valutare economia e utili tra qualche mese, dati alla mano. Nel frattempo, la distensione che si vede sul fronte tassi aiuta ad avere multipli meno stringenti, consentendo il recupero delle quotazioni. Dal punto di vista tecnico, si conferma come le aree tecniche in avvicinamento (area 4.100, ma con un intorno di qualche decina di punti) sia un target rilevante per l’S&P, al pari delle resistenze tecniche si vedono sugli indici europei.
E proprio gli indici europei sono stati capaci di portare avanti una decisa sovraperformance rispetto a Wall Street: basti pensare che l’S&P 500 è ancora zavorrato a -14% year to date mentre Eurostoxx 50, Cac, FTSE Mib e Ibex contengono tutti entro il -5%. Merito di una composizione settoriale che resta ancora premiante. Male invece la Cina (-2,5%) zavorrata dalla politica Covid-Zero. Le azioni “Value” rimangono preferite dagli investitori mentre sul piano settoriale i best performer settimanali premiano anche i difensivi (Staples e Utilities), che appaiono agli investitori più tutelanti in caso di debolezza economica marcata. A livello di temi, bel recupero per i Miners (+5,5%) e per i segmenti legati ai Materials (Agri, Uranio, Water) e Infrastrutture, che confermano il momentum di breve. Positive, per effetto trascinamento, anche le nicchie tecnologiche.
Il tono dell’obbligazionario si mantiene ancora positivo e questa sequenza di settimane è improntata ad una tonicità che si ripropone per la seconda volta nel 2022: la prima era stato l’inframezzo di pausa tra luglio e agosto, prima dei cannoneggiamenti sui tassi di Powell e delle delusioni sul fronte inflazione. Il rebound dai minimi di ottobre si fa quindi più corposo, da un lato allevia i segni meno da inizio anno, dall’altro sollecita gli appetiti per un 2023 di segno diverso: l’asset class che dovrebbe dare stabilità al portafoglio, in realtà quest’anno ha contribuito anch’essa (forse anche più dell’azionario) alle performance negative delle allocazioni multi-asset. Ecco perché nelle ultime settimane si osserva con molta attenzione i segnali che stanno arrivando sul mercato dei bond, tenendo presente che occorre guardare con un occhio a cosa fa la Federal Reserve nel breve termine e con l’altro a quello che il mercato prezza per le prospettive economiche di medio lungo termine. Le attuali dinamiche in corso suggeriscono infatti una view critica in primis sulla parte a breve della curva dei rendimenti, dove l’azione della Federal Reserve è chiaramente più impattante, specie in questo momento in cui i membri del FOMC, a turno, non fanno nessuno sforzo per dare corda di speranza ai mercati. In secondo luogo, sulla parte lunga invece c’è il prezzo da pagare proprio per gli effetti delle politiche monetarie delle banche centrali, con le tematiche di rallentamento generale dell’economia. Le minute relative all’ultimo meeting della Fed (inizio novembre) hanno evidenziato come la maggioranza dei governatori ora sia orientata a continuare le strette monetaria ma con un ritmo più lento. Il 2023 viene visto come un anno di minor crescita economica (con possibilità concrete di recessione) ma anche con un’inflazione in calo ma strutturalmente più alta rispetto agli obiettivi della Fed stessa.
Il mercato prezza ovviamente tutti questi aspetti: a dicembre viene scontato al 100% un rialzo da 50 basis point, a cui poi dovrebbero seguire altri due rialzi da 25 basis point da distribuirsi nei primi meeting del prossimo anno. Di fatto a marzo 2023 si concluderebbe la fase restrittiva della Fed, un anno dopo il suo inizio e si avvierebbe quel momento di pausa che la Fed vorrebbe osservare per attestare la definitiva vittoria sull’inflazione. Appare chiaro che l’aleatorietà di queste tempistiche è molto ampia: il mercato vede un’inflazione scendere molto velocemente (anche a causa del calo dell’attività economica) mentre la Fed appare più prudente nella sua posizione. I tassi USA a breve (2Y) restano sostenuti e vicini ai massimi in area 4,50% mentre la parte lunga della curva è quasi collassata, con l’yield del decennale che, dopo essere sceso sotto il 4% ha addirittura toccato il 3,65%. Percorso identico (anche nella conformazione delle curve che continuano ad essere sempre più inclinate negativamente) anche per la Germania: il Bund a 2Y vede un rendimento del 2,14% quando il decennale ha toccato l’1,80% prima di rimbalzare in chiusura (1,97%). Elementi comunque positivi per le asset class obbligazionarie: continua il recupero sia per il corporate investment grade sia per l’high yield: dai minimi di ottobre il primo ha realizzato un +5% mentre il secondo un generoso +7%.
Le materie prime hanno tentato qualche recupero dopo la debacle della scorsa ottava, con un tono mediamente debole ma che lascia ancora parecchio incerto il trend di breve che, tra alti e bassi, dà poche indicazioni prospettiche. Il petrolio (-4,8%) è tornato sulla parte bassa del trading range degli ultimi mesi, lambendo i livelli in area 76-77. Le dinamiche incerte del greggio si confrontano con un gas arrembante (+11%) mentre il resto delle commodities ha visto andamenti contrastati (deboli gli industriali) o piatti (come l’oro). In tema valutario, l’Euro manifesta ancora velleità rialziste (close a 1,04) ma la valuta europea è risultata in realtà debole verso le altre valute. Cripto col segno meno ma sopra i minimi.
Fonte: ufficio studi Consultique SpA