Dopo la chiusura debole nello scorso venerdì, c’era parecchia attesa per osservare l’evoluzione dei mercati finanziari ed in particolare delle borse, soggette ad ampia volatilità nelle scorse settimane.

Dopo tutto siamo nel mese (ottobre) che storicamente presenta elementi di volatilità per i listini e in cui si giunge a qualche svolta nel trend in corso. Una svolta che le borse stanno cercando dopo un settembre disastroso ma che risultano ancora stritolate da una contesto impregnato di tensione generale (con i diversi fronti ‘aperti’ in ambito macroeconomico e di politica monetaria). I punti di appoggio per i listini non sono molti in realtà: l’andamento delle trimestrali USA rappresenta tutto sommato un punto a favore per gli investitori, visto che, se pur tra alti e bassi, gli utili mantengono una tonalità, in discesa dai picchi, ma ancora debolmente positiva. Un altro elemento a favore nel breve è stata la tenuta dei supporti tecnici, con le aree critiche dell’S&P 500 capaci, se pur con fatica, di arginare i flussi delle vendite. Servirà un vero gioco di equilibrismo per uscire da una situazione generale che vede molti fronti aperti, soprattutto quelli correnti relativi all’alta e persistente inflazione e quelli prospettici relativi all’intensificazione delle tendenze recessive in corso.

In ambito azionario, l’indice MSCI World ha concluso la settimana con un risultato decisamente positivo (+3,6%), nonostante vi siano stati molti alti e bassi nell’andamento degli indici. Nella prima parte della settimana sono prevalsi i segni più, derivanti dai primi esiti delle trimestrali americane relativi al terzo quarter dell’anno. Sono state, come sempre, le società USA del settore finanziario ad aprire le danze, con risultati che sono state complessivamente positive, in particolare quelli di Goldman Sachs, con utili sopra le attese e con un nuovo piano di riorganizzazione del business. Segni più anche per JPMorgan, Wells Fargo e Citigroup mentre Morgan Stanley ha in parte deluso. Due note di interesse: il primo è che le attese di mercato erano già caute, per cui Wall Street ha potuto distendersi dopo il rilascio dei dati; il secondo che per il futuro i vari CEO mantengono ancora un view decisamente prudente, attendendosi ancora instabilità e un contesto difficile per l’operatività sui mercati a causa di inflazione, conflitti bellici e indebolimento economico. Nel corso della settimana l’umore a tratti è peggiorato, anche a causa di altre trimestrali non ritenute ‘brillanti’ dal mercato, come quella di Tesla o Snapchat e a conferma della situazione a macchia di leopardo nei risultati aziendali.

Da un punto di vista tecnico, l’indice guida S&P 500 (+4,8%), mantiene come detto i supporti tecnici, mostrando al contempo uno stretto range di lateralizzazione di breve, come se il mercato stesse ‘masticando’ e ‘digerendo’ il ribasso di settembre. L’obiettivo, a questo punto, è di poter costruire un nuovo minimo di periodo da cui abbozzare un recupero tecnico, visto anche i livelli di ipervenduto che si sono creati nel corso dell’ultima fase di borsa. Importante non cedere area 3.600 e tentare di sopravanzare i 3.800 punti, per poter poi ritrovare anche un miglior sentiment generale. Risulta tecnicamente rilevante, quindi, il monitoraggio dell’uscita delle quotazioni dal box 3.600-3.800. Il close settimanale è positivo anche per il Nasdaq 100 (+5,8%) e, in generale, per i comparti tecnologia, tra i best performer, a livello globale, assieme all’Energy, sempre leader negli andamenti dell’anno. Meno sprint solo per i difensivi, come Health Care e Consumer Staples, meno favoriti dalla ripresa di mercato. Tra le altre borse, positiva l’Europa (soprattutto il FTSE Mib, +3%) mentre contrastati i risultati dei paesi emergenti (buon rimbalzo per Brasile e Turchia, deboli ancora i listini cinesi).

La settimana in ambito obbligazionario ha visto altre complessive salite per i tassi a medio lunga scadenza, che si sono attestati su nuovi massimi dell’anno. Il Bund tedesco, nella seduta di venerdì, ha toccato uno degli obiettivi tecnici già individuabili nelle scorse settimane, ossia area 2,50%. Il close finale è stato inferiore (2,42%) ma il tendenziale resta inequivocabilmente direzionato verso l’alto. Dopo tutto, non si può non osservare come con i valori di inflazione che vengono ancora rilasciati nella zona Euro (9,9%) non permettono alcune sosta o esitazione, specie quando il tasso di sconto è all’1,25% e i tassi sui depositi allo 0,75%. Ed il mercato infatti nelle ultime settimane ha confermato le proprie stime di maxi aumento per i prossimi board: nel meeting ormai imminente (27/10) ci si attende un rialzo da 75 basis point, seguito da una misura altrettanto ‘pesante’ a dicembre. Il terminal rate scontato dovrebbe essere attorno al 3% o poco più tra un anno circa. Basterà per domare l’inflazione? O meglio, rispetto al livello a cui si troverà l’inflazione, sarà un valore sufficiente? Visti i dati sul costo della vita usciti in settimana qualche dubbio viene. C’è sempre da ricordare che la BCE continua a reinvestire i proventi incassati con i bond in scadenza che detiene in portafoglio (sia per la parte QE che per quella ‘PEPP’) e questo fino al 2024. In settimana il governatore francese ha delineato la possibilità di un Quantitative Tightning anche nell’Eurozona, da effettuarsi probabilmente dopo il ciclo di rialzi.

La tematica dell’efficacia della politica monetaria non è ovviamente solo ad appannaggio della BCE, anzi. La Federal Reserve, in qualità di principale banca centrale mondiale, fa certamente da faro per le altre. Negli Stati Uniti i cicli di rialzo dei tassi sono temporalmente più avanti (area 3%-3,25%) ma il problema del delta verso l’inflazione corrente è ugualmente presente (ultimo dato all’8,2%). Il target rate della Fed si trova attorno al 5%, a cui arrivare nella prima parte del prossimo anno. Nel meeting di inizio novembre è praticamente certo un rialzo pari a quello della BCE, ossia 75 bps, a cui seguire un intervento da 50 bps a dicembre. Stessa domanda e dubbi come per la BCE: sarà sufficiente per l’inflazione che si attesterà l’anno prossimo? Se il mercato dei bond ha ragione, dovrebbe bastare perché le aspettative di inflazione ad un anno si attestano al 2,69%. In settimana il Treasury americano, per la scadenza decennale, ha superato di slancio il 4%, con un nuovo massimo al 4,33%: il mercato comincia a vedere area 5%. Segni meno quindi conseguenti per i governativi americani, specie sulle scadenze medio lunghe.

Per quanto riguarda invece gli altri segmenti del mercato obbligazionario, gli aumenti della componente risk-free è chiaramente deleteria anche per il corporate investment grade, che continua nel suo trend di debolezza da inizio anno. Le preoccupazioni invece per l’ambito macroeconomico hanno lasciato un mini recupero per l’ambito dell’High Yield (dove comunque invece le duration sono inferiori), grazie al rimbalzo dell’azionario. In rialzo le aspettative di inflazione US.

In ambito materie prime, settimana di nuova debolezza, a conferma che i recenti rialzi avevano vita breve. Il petrolio, dopo lo spyke sopra quota 90$ è tornato parecchio indietro (close a 85$), con le riserve strategiche USA sempre più su livelli minimi. Deboli anche i metalli industriali e le materie prime agricole. Crollo del gas (-23%) dopo l’accordo in seno all’Europa per un controllo unitario dei prezzi. La view di una BCE più convinta ha ridato sostegno all’Euro, tornato nel cross in area 0,985 verso Dollaro USA. La valuta europea ha visto incrementi anche verso Sterlina, Franco e Yen giapponese: è la BCE probabilmente ad avere la posizione di leader nei rialzi dei tassi.

Fonte: ufficio studi Consultique SpA

Management Creare e Comunicare | Coding Digitest.net | Package Mercury - Ver. 1.0.8