Con fatica le borse cercano di risollevare gli andamenti dei primi 6 mesi dell’anno, un semestre dove ben pochi listini hanno saputo contrastare la tendenza negativa del 2022.

6 mesi di rosso che hanno portato un indice globale come l’MSCI World a declinare di circa il 20%, flirtando non poco con la definizione accademica di ‘mercato orso’. Il ribasso è stato particolarmente intenso anche nell’ultimo mese di giugno che ha accumunato tutti i principali listini internazionali: S&P 500, Nasdaq e Eurostoxx 50 hanno infatti lasciato sul terreno tra l’8% ed il 9%: il tradizionale ‘abbellimento’ di fine trimestre quest’anno non è stato particolarmente efficace. Ecco, quindi, che i mercati iniziano questo nuovo semestre con un fardello non da poco e con prospettive caratterizzate da un lato da speranze di un assestamento in meglio dei risultati e dall’altro da una condizione generale che rimane condita da incertezze sul piano macroeconomico e fondamentale, con alle porte ormai la stagione delle trimestrali. Un secondo quarter dove le attese degli analisti rimangono positive sia rispetto al trimestre precedente sia (ma qui il compito è più facile) rispetto allo stesso periodo del 2021. L’ottimismo degli analisti già da tempo mette in evidenza come sebbene il clima borsistico sia impregnato da negatività, parte del mercato ancora mantenga una view non certa di un rallentamento degli utili aziendali.

E’ questa una delle motivazioni che porta ancora a vedere un S&P 500 che, nonostante la caduta, provi regolarmente a rimbalzare dai minimi che vengono fissati (l’ultimo in area 3.650 a metà giugno) e che finora però sono stati sempre temporanei. Da dire che la discesa vissuta da inizio aprile è stata piuttosto ripida: i mercati hanno dovuto convivere con un ambiente particolarmente ostile, dove alla temutissima inflazione galoppante si è unito anche il timore di effetti recessivi in rapido avvicinamento. Timori, paure, forse non ancora concretizzati sul piano fondamentale e macroeconomico, ma, si sa, le borse anticipano per definizione il futuro stimato e lo incorporano nei prezzi delle attività finanziarie. Molte delle ‘carte’ che dovevano essere svelate sono infatti ora davanti agli occhi degli investitori: la Fed ha fatto sapere di essere pronta a sacrificare un po' di crescita per far fuori l’eccesso inflazionistico, il che, vuole anche dire, che un po' di ricchezza finanziaria accumulata negli ultimi 12-24 mesi deve essere ‘restituita’. L’enorme liquidità finita nelle tasche dei consumatori USA ha permesso di rilanciare il PIL, i consumi ma anche di gonfiare le quotazioni di borsa e ora è il momento di correggere quanto fatto, con la consapevolezza, per la Fed, di aver mancato clamorosamente le stime di inflazione e di essere ora costretta a rincorrere.

L’S&P 500 nell’ottava appena conclusa ha dato segnali incoraggianti, se non altro per il breve termine: l’arrotondamento in area 3.650 può consentire di riavvicinare area 4.000 e forse anche qualcosa in più (d’altro canto appena ad inizio giugno si era in area 4.200). Un compito realizzabile che poi lascerà il testimone a test più impegnativi: l’osservazione delle medie mobili in avvicinamento e che fanno da resistenza fa il paio con quanto sopra esposto, ossia il confronto con dati fondamentali e macro. L’ottava si chiude quindi con un +2% per l’S&P 500, un +4,7% per il Nasdaq, con le borse europee in ordine più sparso (FTESE 100 e DAX meno tonici). Lo stop alla salita dei tassi ha permesso bei recuperi per i tecnologici e i ciclici, con l’Energy che si è preso una pausa nell’uptrend. La volatilità, mimando il movimento di maggio, da quota 35 è scesa di nuovo ad area 25, che fa da primo spartiacque per pensare a ulteriori miglioramenti del quadro tecnico delle borse.

Ancora volatili le materie prime, con il basket generale che scende del 1%, in particolare per le flessioni delle componenti energia (- 2,4%) metalli preziosi (-3,1%) I ripiegamenti in settimana, su timori recessivi, hanno toccato minimi importanti (petrolio area 95/96 ma anche sul rame si è vista quota 7.300 $) per poi rimbalzare. Molto debole anche l’oro (1.740 $), penalizzato dal super Dollaro USA e dall’aumento dei tassi reali.

Dopo i segni più della scorsa settimana, il reddito fisso è tornato a manifestare qualche accenno di debolezza ma resta valida la considerazione della scorsa ottava, in cui era parso evidente che in ambito bond qualcosa sta cambiando, almeno nella magnitudine e persistenza del trend negativo. I tassi, infatti, o sono scesi molto, come in Germania, con il Bund tedesco che di volata è sceso dal 2% all’1,20%, oppure hanno cominciato a abbracciare l’intorno di un’area stabilizzandosi attorno ad essa (il 3% per il decennale americano). E’ il primo segno di come le preoccupazioni relative ai possibili effetti recessivi delle manovre di restrizione monetaria della Fed siano in fase di inizio ‘digestione’ da parte del mercato. Un atteggiamento che ora vede sia l’inflazione, sia il temuto rallentamento (soft o hard) come scenari che si intersecano tra loro. Con lo sfondo, naturalmente, ciò che ne deriva poi anche come mosse da parte delle banche centrali, impegnate nel breve a contrastare valori di inflazione che non si ravvisavano dagli anni ’70.

In settimana sono usciti i verbali dell’ultimo meeting della Federal Reserve tenutosi a giugno e non hanno portato a grandi novità rispetto a quanto già si sapeva. Anche perché la stessa Fed ha dichiarato esplicitamente di essere data-dependent e agirà in base, quindi, a ciò che vede. Ne deriva che le posizioni possono cambiare rapidamente anche di settimana in settimana, sia in senso restrittivo che più accomodante. E’ vero che il focus rimane impostato sull’inflazione, primo obiettivo da contrastare, ma l’intensità di azione del FOMC deriverà appunto dai dati. La FED, nei verbali, esprime quindi la convinzione che l’inflazione sia persistente e occorra frenare la domanda, con ripercussioni sulla crescita. Dopo i 75 bps di aumento di giugno, i mercati hanno cercato di capire se a luglio e a settembre si potesse avere un allentamento della presa. In realtà, la Federal Reserve è apparsa in queste settimane particolarmente convinta delle sue azioni, restando fedele ad un messaggio sempre ‘hawkish’, anche per recuperare autorevolezza verso il mercato, dopo gli svarioni sull’inflazione. E per il meeting di luglio il mercato già sconta con un buon 90% un intervento da 75 basis point.

E’ per questo che il messaggio duro proveniente dai verbali non hanno particolarmente impaurito le borse, già preparate alla stretta. Gli elementi più importanti ora verranno con il prossimo rilascio dei dati economici: l’8 luglio per il mercato del lavoro ed il 13 per l’inflazione. Detto dell’inflazione, anche il mercato del lavoro è a tutti gli effetti un termometro assolutamente importante: la FED dà per scontato un aumento della disoccupazione e quest’ultimo è molto spesso correlato con una fase recessiva (sebbene con intensità variabile), con effetti su consumi e utili aziendali. I dati di venerdì sui payrolls in realtà mostrano ancora un mercato del lavoro tonico, elemento che lascia strada alla Fed per i suoi interventi (lo 0,75% a luglio diventa quindi scontato). Anche in ambito BCE si discute sulla politica monetaria, ma con la consapevolezza che l’economia europea ha qualche grattacapo in più, nonostante sia accumunata agli USA per gli alti(ssimi) valori di inflazione. Un’economia meno tonica e un’inflazione di matrice energetica suggeriscono interventi più moderati al momento, anche se non mancano le voci che vorrebbero già 50 bps nel meeting di luglio.

Il Treasury 10Y si attesta appena sopra alla calamita 3% (in leggero rialzo) con il 2 anni allo stesso livello, il Bund, dopo la caduta si attesta all’1,35% ed il due anni allo 0,50%: tutti valori in aumento settimanle ma inferiori ai massimi di qualche settimana fa. Se l’aumento dei tassi a medio lungo ha penalizzato il corporate USA (gli spread di credito rimangono elevati), il miglior sentiment sull’equity ha contagiato anche l’High Yield, avaro di soddisfazioni per gli investitori nel 2022.

A livello valutario, ancora una prova di forza per il Dollaro USA che rompe i minimi di area 1,03/1,04 nel cross EURUSD e si avvicina alla parità. La forza della valuta americana deriva dalla maggiore convinzione della Fed nella politica monetaria restrittiva rispetto alla BCE. L’Euro ha comunque perso forza rispetto molte valute, ad eccezione del Rublo. Rimbalzano le cripto: Bitcoin +12% a 21.800 $.

Fonte: ufficio studi Consultique SpA

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