Le tendenze della settimana appena conclusa hanno visto un andamento positivo ma altalenante, con una prima parte particolarmente tonica e corale per le diverse asset class: azionario, obbligazionario e materie prime fino a giovedì hanno mantenuto discreti segni positivi, un movimento particolarmente gradito agli investitori che hanno vissuto un anno dominato dalla correlazione tra asset class…ma col segno meno nelle performance.
Le tendenze per equity, bond e commodities, continuano a mantenere un comune denominatore capace di condizionare tutto l’attuale contesto di mercato, ossia l’operato della Federal Reserve. L’ottava appena conclusa lo ha dimostrato ancora di più: sono bastate delle dichiarazioni di Powell di tono appena diverso rispetto a quanto il mercato si aspettava (meno ‘restrittive’ del solito) per mettere in moto ampi movimenti sulle borse ma anche su tassi, materie prime e cambi. Ma gli altri elementi non sono di solo ‘contorno’ e riguardano i dati di natura macroeconomica, ancora in chiaroscuro, dove a tendenze che confermano il peggioramento sulla congiuntura, se ne accompagnano di resilienza e di non immediato scivolamento in recessione. I dati di venerdì (che attestano un mercato del lavoro ancora ‘caldo’), infatti, hanno riportato qualche elemento, sebbene temporaneo, di debolezza. Sull’altro fronte il calo dell’inflazione sta accompagnando questa fase di mercato, rientrando dai valori record degli scorsi mesi e dando spazio per una possibile fase meno interventista delle banche centrali, attese in meeting già temuti per la metà di dicembre. Insomma, le dinamiche restano fluide e ci si indirizza verso il 2023 con tematiche ancora piuttosto aperte.
In tema di listini azionari, il saldo generale si è ridotto leggermente proprio sul finire dell’ottava: l’indice MSCI World (+1,1%) chiude comunque positivo (in linea con il trend di breve in corso) e con gli indici solo temporaneamente indeboliti dai dati sul mercato del lavoro (disoccupazione stabile ma anche incrementi salariali tonici). Un mercato del lavoro tonico e sotto pressione non piace infatti alla Federal Reserve, perché non permette di ritenere ‘scavallato’ definitivamente il picco dell’inflazione o di non considerarla sotto controllo. Nonostante questo, i mercati rimangono ottimisti e nel resto della settimana lo hanno dimostrato, con le borse che avevano preso con entusiasmo le dichiarazioni di Powell, apparso, quasi a sorpresa, non cattivo come al solito. E così i listini hanno festeggiato, con gli indici USA che hanno nuovamente rilanciato il rally iniziato a metà ottobre: l’indice S&P 500 (+1,2%) si è avvicinato a quota 4.100, entrando di fatto in un’area ostica, fatta di resistenze tecniche rilevanti e dove serve un’azione energica. Il calo dei tassi ha favorito ancora i tech, con il Nasdaq positivo per il 2,1%. Vero che la stagionalità pare favorevole, ma di fronte vi sono anche elementi che i listini devono considerare: la FED rallenta il suo passo ma la ‘pausa’ non è ancora vicina. Inoltre, sebbene per ora l’ipotesi recessiva ‘dura’ sia lontana, occorre tener conto dell’impatto di un rallentamento nei prossimi trimestri.
Dopo settimane di sovraperformance dell’Europa, in quest’ultima il Vecchio Continente ha leggermente frenato: gli indici si trovano oggettivamente in un punto tecnico delicato, distante appena pochi punti percentuali dai livelli di inizio anno. Giustificata, quindi, la prudenza, in un contesto dove gli ultimi dati di inflazione rimangono particolarmente ostili. Europa di poco positiva (+0,4%) mentre ritrova la via del rialzo l’Asia (Cina +6,7%), grazie alle ipotesi di minori misure repressive anti-Covid. A livello settoriale, buon ritorno di forza per Tech e Growth, e con i Value che tirano il fiato (soprattutto l’Energy). Andamento confermato anche i comparti tematici, dove le nicchie Tech riescono finalmente a concretizzare una vittoria nel confronto settimanale con i comparti difensivi.
Tono ancora positivo quello visto nell’ottava per l’obbligazionario, con segni più diffusi sull’intera asset class e con la continuazione di quello che è un trend in essere dalla metà di ottobre. E in questa ottava la tendenza si è rafforzata dopo le dichiarazioni pervenute dal presidente della Fed Powell nel suo atteso intervento ad un convegno a Washington. La banca centrale americana è reduce da un vero e proprio tour de force sui tassi: quattro aumenti da 75 basis point e valori che sono arrivati al 4% con il trend più rapido della storia. Il target è però vicino e i mercati questo già lo avevano scontato nei prezzi di azioni e bond già dalla metà di ottobre: tuttavia, sentirlo direttamente dalla bocca di Powell non è parso quasi vero e infatti gli indici azionari (specie quelli a ‘duration’ elevata come i tech) hanno visto rialzi importanti. Il target sarebbe quello del 5% e sarebbe raggiungibile attraverso un aumento da 50 basis point a dicembre e da altri più moderati ad inizio 2023: insomma, il ritmo è certamente in frenata ma dire che si sta imboccando la parabola discendente è probabilmente prematuro. Powell ha detto che è in avvicinamento quel livello di tassi che permette di ridurre l’inflazione, per cui ha senso iniziare a togliere il piede dall’acceleratore. Il che, ha chiarito il Presidente della Fed, non equivale a dire che i tassi scenderanno: essi dovranno mantenersi ancora su livelli restrittivi per non incorrere nell’errore di sottovalutare il problema e vanificare gli sforzi fatti. La Fed è consapevole che questo sta già provocando un ritorno ad un andamento piatto dell’attività economica, con prospettive che contemplano tuttavia ancora la possibilità quindi di un ‘atterraggio’ morbido. Sul tema del mercato del lavoro forse gli aspetti meno convincenti, con la disoccupazione ancora piuttosto bassa e una rigidità che stenta a risolversi.
Come detto, il mercato intanto continua a scontare un intervento da 50 basis point nel meeting del 14 dicembre: la probabilità è praticamente del 100%. Il top dei tassi dovrebbe essere a marzo, con un valore appena attorno al 5% e i primi tagli nel corso del secondo semestre del 2023. Il tasso dei Treasury a 2 anni ha bloccato da qualche settimana la sua ascesa e anzi ha visto un indietreggiamento (4,35% vs 4,75% di inizio novembre): segnali appunto di meno tensione sul mercato. Diverse invece la motivazione legata al calo del titolo a 10Y e sceso dal 4,20% di inizio novembre all’attuale 3,50%. In questo caso entrano in gioco più timori di rallentamento economico, che gli operatori vanno quindi a scontare sulla parte lunga della curva. L’effetto generale di tutti questi movimenti è però il recupero dell’obbligazionario nel suo complesso. Nella zona Euro, il Bund a 2Y resta appena il 2,1% mentre il decennale ha sofferto in maniera uguale al pari scadenza americano (rendimenti in close all’1,86%). Sia la curva USA che quelle della zona Euro restano quindi inclinate negativamente, promettendo attività economica debole per il 2023. Questo percorso è coerente con la fase positiva per i mercati azionari, occorre vedere cosa succederà quando la curva tornerà a irripidirsi. Tra gli altri segmenti obbligazionari segni più marcati anche per gli inflation linked, favoriti dal calo dei tassi reali. Ancora bene tutto il comparto corporate, che vede ridursi gli spread di credito.
Di poco positivo l’andamento del basket di materie prime, le ultime settimane sono state volatili: il greggio torna sopra quota 80$ (+5%) grazie alle ipotesi di riduzione dell’offerta da parte dell’OPEC. Il trend resta incerto e condizionato anche dalle prospettive economiche. Chi sale con forza è poi il comparto dei metalli industriali (+8%) seguito dai preziosi (oro a quasi 1.800, +2,4%). Volatile il cambio Euro-Dollaro USD: l’oscillazione è tra 1,03 e 1,05 con la valuta europea sospinta dalle ipotesi di una Fed meno aggressiva ma anche dai dati di inflazione usciti nell’Eurozona. Tra le altre valute, segnale di forza dello Yen mentre rimbalzano discretamente le cripto dopo il turbolento mese di novembre.
Fonte: ufficio studi Consultique SpA