Il tono dei mercati finanziari continua ad essere sostanzialmente allineato alla tradizionale e storica positività stagionale, sebbene l’umore degli operatori sia ancora condizionato dal decorso di questo 2022 che va a concludersi.
Il contesto attuale è ancora soggetto agli strascichi positivi derivanti dal recente dato di inflazione dei prezzi al consumo negli Stati Uniti, a cui si è unito il nuovo dato relativo invece ai prezzi alla produzione. Questi ultimi hanno mimato quanto visto con il CPI, ossia una decelerazione rispetto al mese precedente e un valore anche decisamente al di sotto delle attese. Questo ha permesso di dare ancora un po' di benzina a quel trend visibile a livello intermarket con borse in recupero e tassi che concedono un po' di pausa agli investitori. Una benzina che si somma quindi a quella vista, in maniera anche un po' esplosiva, nel post dato CPI e che ora, con questi dati alla produzione cerca di mirare a obiettivi più sostanziosi. Un andamento ovviamente accolto con favore dagli investitori vista la convergenza annuale negli andamenti delle due principali macro asset class di investimento, mentre le materie prime hanno vissuto più che altro un anno nell’ottovolante. La deflagrazione completa è invece nell’ambito crypto, investite da un inverno congiunturale che sta minando alle basi le piattaforme che permettono il trading di criptovalute. Anche in ambito forex, la cavalcata dell’Euro cerca nuova linfa e aspira ad invertire il trend primario contro il Dollaro USA, sostenuto dalle speranze di una Fed meno aggressiva.
Le borse terminano l’ottava in sostanziale consolidamento (MSCI World -0,5%) rispetto alla verdissima settimana precedente: chi cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno in questa fase di mercato può dire che la costruzione rialzista che parte dai minimi dello scorso metà ottobre è ancora in essere e cerca di arrampicarsi, per la seconda volta quest’anno, attraverso livelli che erano stati via via rotti al ribasso negli scorsi mesi, quando la furia della Fed era particolarmente sentita e l’inflazione non accennava a moderarsi. L’S&P 500 (-0,6%), dopo i minimi infatti, raggiunti a quota 3.500-3.600 è riuscito anche a intravvedere area 4.000 nelle ultime sedute, andando quindi a testare se vi è mancanza di ossigeno su questi valori. Da un punto di vista tecnico, l’area fino a 4.100/4.150 può essere toccata, salvo poi comunque fare i conti con ostacoli rilevanti che collimano con aspetti macro e fondamentali. Nel recente recupero, oltre a concrete assunzioni circa una politica della Fed meno restrittiva, c’è anche una buona dose di ricoperture tecniche che hanno riequilibrato il pessimismo del momento. Gli aspetti macro e fondamentali riguardano principalmente lo stato di salute dell’economia americana (il recente dato delle vendite è stato buono ma il mercato immobiliare è prospetticamente in forte frenata) e quanto poi si riverbererà sugli utili aziendali (che si mantengono stagnanti ma senza ancora il segno meno). Quello che risulta però ancora ostico, oltre a queste componenti, è capire quanto la Fed vuole essere rigorosa: gli inframezzi negativi della settimana sono dovuti al momento di paura per il missile caduto in Polonia e per le sequenza di dichiarazioni poco dolci dei membri Fed.
La pausa nella risalita di Wall Street lascia all’Europa il palmares di best performer anche questa settimana (+1,5%), un evento ormai frequente e che fa il paio con qualche ribilanciamento indirizzato a sovrappesare il Vecchio Continente, che offre multipli meno esosi e anche, forse sorprendentemente, una buona resilienza economica rispetto alle aspettative. Continua a fare bene il FTSE Mib (+0,9%), supportato dal trend dei titoli bancari ma stavolta è il Dax a primeggiare (+1,5%) A livello settoriale generale, qualche segno meno più marcato per i Tech mentre i difensivi sono tornati ad avere preferenza dagli investitori. Le ultime ottave hanno visto Growth e Value (ma anche settori ciclici e difensivi) scambiarsi spesso il testimone, un ulteriore conferma delle domande che il mercato si pone circa una possibile svolta nel contesto generale.
L’ultima ottava ha visto fortificarsi il recupero degli indici obbligazionari, con un calo dei tassi specie sulla parte medio lunga dei curva. La performance settimanale fa quindi il paio con l’ottava precedente, quando il movimento della curva dopo il dato di CPI USA aveva dato un segnale particolarmente forte, portando verso il basso il livello degli interventi Fed stimati per i prossimi trimestri (oltre al terminal rate di questa stagione di politica monetaria). Quello che sembra importante monitorare è quindi, da un lato, quello che legge il mercato dai dati macroeconomici in uscita (inflazione in primis) e, dall’altro da come reagisce la Fed tramite i suoi rappresentanti. Perché è apparso chiaro anche dall’ultimo meeting Fed come quest’ultima abbia vestito negli ultimi 10-15 anni il ruolo di Babbo Natale ma che ora abbia una veste molto diversa, a partire dal suo capo, Jerome Powell. E altrettanto sembrano fare gli altri presidenti delle Fed locali, ad eccezione della vicepresidente Brainard, a tutti gli effetti una mosca bianca visto che ha dichiarato come i recenti dati sull’inflazione siano rassicuranti (anche sugli aspetti salariali) e mostrino segni di moderazione, elemento che può suggerire a rallentare il rialzo dei tassi. Gli altri membri del FOMC invece sono sempre piuttosto indirizzati a non consentire, al momento almeno, al mercato di rilassarsi troppo: non è un mistero che condizioni restrittive si ottengano anche un calo degli asset finanziari. Diversi governatori, infatti, ritengono che sia presto pensare ad un cambio nella politica monetaria e che comunque, anche arrivando ad un cap adeguato, poi sarà necessario sostarvi per un congruo tempo, piegando le dinamiche inflazionistiche.
Gli altri membri del FOMC, come detto, sembrano un po' fare a gara nelle dichiarazioni: Williams ha chiarito come i rischi presenti sui mercati finanziari non devono influenzare la politica monetaria mentre George ha sottolineato che ogni ipotesi di pausa non sia all’ordine del giorno viste le condizioni molto tese presenti ancora sul mercato del lavoro. Ma la posizione probabilmente più rigorista è arrivata dal presidente della Fed di Saint Louis, Bullard, il quale ha osservato come la Fed dovrebbe alzare i tassi almeno fino al 5,25% (e fino al 7%), ragionando secondo la Taylor Rule (che si trova anche nel presente Osservatorio e che mette in relazione tassi di interesse, disoccupazione e PIL). L’impatto sui mercati c’è stato ma con sfumature diverse: il decennale americano è rimasto ben sotto il 4% (close a 3,80%) mentre ha ripreso a salire la parte a breve, con il 2Y che si è riportato al 4,50% (dal 4,35%) e prezzando anche un terminal rate più alto per la prima parte del 2023 (tassi visti dal mercato come top al 5% per poi scendere gradualmente). Sulla parte lunga della curva probabile si sconti sempre più un rallentamento dell’economia USA. Nella zona Euro, Christine Lagarde ha detto che i tassi verranno ancora alzati e che a dicembre verrà varato un piano per ridurre il bilancio della banca centrale. I rendimenti però non si sono mossi molto (anzi) sulla parte medio lunga (Bund 10Y al 2% e BTP al 4%), un po' come per gli USA. La settimana ha visto nel complesso, quindi, segni più sia per la parte governativa (specie Euro) che per quella corporate (specie IG e US).
Le materie prime hanno dilapidato i guadagni delle scorse settimane: preoccupazioni sulla domanda futura hanno compromesso il corso del petrolio, sceso del 10% e misuratore probabilmente di una percezione in peggioramento delle condizioni economiche. Solo il gas, tra gli energetici, è stato capace di un rialzo mentre il greggio in chiusura si è attestato appena sopra gli 80$ in attesa dell’OPEC. Deboli anche metalli industriali come nickel (che pure era salito molto) e rame, accompagnati da ribassi anche delle materie prime agricole e dei metalli preziosi ad uso industriale. In ambito valutario, il rimbalzo dell’Euro ha sfiorato area 1,05, per poi ritracciare successivamente (close a 1,036). Probabile un consolidamento, prima di capire le reali intenzioni del cambio e per vedere se si può realmente pensare ad una inversione. Criptovalute deboli.
Fonte: ufficio studi Consultique SpA