La debolezza vista sui mercati azionari nella precedente settimana (e che aveva messo fine ad una sequenza positiva a dir poco sorprendente) ha caratterizzato anche l’ottava appena conclusa, con gli indici che hanno accelerato nella discesa e accumulato dei passivi pesanti soprattutto nell’ultima seduta di venerdì.

L’Indice generale MSCI World chiude infatti la settimana con un calo di oltre 3 punti percentuali, con Wall Street che torna a fare peggio dell’Europa. Tuttavia, già dalla riapertura di lunedì il Vecchio Continente potrebbe pareggiare i conti assieme agli indici asiatici: il brusco calo di venerdì dopo il discorso di Powell a Jackson Hole farà infatti sentire i suoi effetti anche nelle prossime sedute. Il contesto generale ha visto, negli ultimi mesi, come gli investitori abbiano (ri)abbracciato con più fiducia i maggiori indici statunitensi per motivi di ordine macro e fondamentali, dopo un inizio d’anno dove a cedere di più era stato soprattutto il Nasdaq (a causa di una ‘deflagrazione’ legata ai multipli di valutazione). I principali indici azionari (S&P 500, Euro Stoxx), da inizio dell’anno, indietreggiano e si trovano ora tra -10% e -15% (con il Nasdaq indietro a -22%).

La fase di breve, da un lato, sta riassorbendo qualche eccesso di ipercomprato che era ormai visibile sulle borse e dovuta ad un eccesso di foga nell’interpretare il discorso ‘dovish’ di Jerome Powell a fine luglio sul percorso della Fed nel contrasto all’inflazione, dove il capo della banca centrale americana aveva fatto capire che la stretta poteva essere …’alle strette’. Una posizione che aveva dato una spinta al recupero delle borse che già stava avvenendo grazie al buon andamento delle trimestrali USA e dai report sul mercato del lavoro ancora in buona salute.

In tema di dati fondamentali, Il secondo quarter per gli utili targati US è stato complessivamente buono (dove il boom del settore Energy è stato determinante per non avere una inflessione negativa rispetto allo stesso periodo dello scorso anno), ma gli analisti (che nella prima parte dell’anno erano stati piuttosto restii a tagliare le stime) iniziano ora ad essere meno ottimisti per i prossimi trimestri. Anche in ambito macro, i dati mantengono una certa ambivalenza, con le pressioni inflazionistiche ancora ben presenti in diversi frangenti ma con un mercato del lavoro che non manifesta ancora tendenze recessive.

Appariva quindi evidente come l’appuntamento annuale dei banchieri centrali a Jackson Hole, proprio con lo speech di Jerome Powell, rappresentava un primo test di quanto la Fed avrà in mente di attuare nella seconda parte dell’anno. La banca centrale americana si trova infatti a lottare da una parte con un gap storicamente elevatissimo tra tasso di inflazione (8,5%) e tassi ufficiali (range 2,25%-2,50%). Le attese, quanto mai ‘disattese’, erano più che altro di no-news. Da Jackson Hole, nel simposio dei banchieri centrali, Powell ha chiarito con fermezza che la politica monetaria della FED, volta a riportare la stabilità dei prezzi, richiede tempo e un’azione forte ed energica. Le borse hanno dovuto valutare con maggiore realismo la situazione attuale (come una sorta di ‘risveglio’ dopo settimane di dormiveglia), dovendo fare i conti con una Fed che appare, anche per riguadagnare fiducia, determinata nei suoi obiettivi.

E Powell, quindi, tirando le somme, traccia un percorso quasi obbligato per Fed, rimanendo in posizione ‘wait & watch’ per decidere come sviluppare la propria strategia contro l’inflazione. Ma tale ottica pone oggettivamente rischi per l’economia (in termini di ricadute) elemento che non è però prioritario rispetto ad altri obiettivi. L’azionario ha risposto a questo con un atteggiamento dal prudente al molto deluso: S&P e Nasdaq cedono rispettivamente il 4% e il 4,8%, mentre l’Europa (- 3,4% l’Eurostoxx 50) appare attanagliata da problematiche anche più serie, con una recessione all’orizzonte più intensa e più certa rispetto a quella a stelle e strisce. La costruzione tecnica di breve dell’indice S&P 500 si degrada in modo sostanziale: lo scontro con le resistenze (dinamiche e statiche) in area 4.300 sta producendo un nuovo storno, con il ritorno delle quotazioni sotto quota 4.100 e livelli tra 3.900 e 3.950 per evitare un retest dei minimi di giugno. Il recupero da giugno resta, per ora, un rally correttivo in una tendenza ribassista. Lo sviluppo tecnico resta aperto a diverse soluzioni.

A livello di settori, la spinta nei prezzi delle materie prime si vede ancora nonostante i prezzi di queste ultime siano in genere lontani dai record di inizio anno e questo premia i settori come l’Energy (+4%) mentre resistono i Materials (-0,5%) e cedono i tech (-5,2%) ed i ciclici (-4,4%). Tra i temi se la cavano invece solo Agribusiness, Infrastrutture e nicchie legate a energia o materie prime. L’indicatore di volatilità, il Vix, dopo essere sceso da quota 35 a 20, ritorna verso l’alto.

Sul mercato obbligazionario cominciano a pesare invece dinamiche non favorevoli al reddito fisso: la FED non può mollare la presa sul costo del denaro e i tassi si spostano sulla parte alta del range di variazione dell’ultimo periodo. Il decennale americano supera nuovamente il 3% (e attende settembre dove il QT si farà più significativo) e anche in Europa la pressione sui tassi si è fatta più marcata: i record del gas impongono alla BCE di non ignorare qualche azione di politica monetaria per calmierare l’impennata dei prezzi dei beni di consumo. I mercati prezzano con più probabilità un intervento da 75 bps a settembre per la FED mentre certo quello da 50 bps per la BCE. Tra i segmenti obbligazionari: in discesa sia corporate (soprattutto europeo) sia high yield, per l’aumento dei tassi free risk e degli spread di credito.

Per quanto riguarda le materie prime, il tono resta complessivamente positivo per il basket, che guadagna quasi 2%, sospinto dal buon andamento del paniere agricolo (+5%) ma anche di quello dell’energia. Il gas americano resta vicino ai massimi di periodo mentre il WTI, che nei mesi scorsi ha manifestato debolezza per le vendite delle scorte operate dagli USA, mantiene tutto sommato le posizioni (appena area 90). In leggero calo l’oro a causa del rialzo dei tassi reali.

In merito invece alle valute, il cambio Euro Dollaro (-0,7%) ha visto la discesa verso area 1, ossia la mitica parità del cross. Non si sono visti ancora approfondimenti ribassisti, con il trend che rimane ancora favorevole al biglietto verde. Tra le altre valute, bene quelle emergenti legati alle materie prime, mentre tra le cripto il clima da risk off ha indebolito il Bitcoin (-3%), tornato sotto quota 21.000 $.

Fonte: ufficio studi Consultique SpA

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