Dopo un filotto di settimane positive tra luglio e la prima metà di agosto, arriva uno stop al rally in corso dei mercati azionari internazionali.

L’indice MSCI World, infatti, cede l’1,60% anche se il saldo di agosto resta ancora positivo. La corsa rialzista degli indici si prende quindi una pausa, con l’S&P 500 che cede l’1,2% e il Nasdaq il 2,3%: a pesare il ritorno di preoccupazioni circa l’evoluzione del contesto macroeconomico (soprattutto per l’inflazione) e per le conseguenti azioni che le banche centrali dovranno porre in essere nei prossimi trimestri. Da rimarcare, inoltre, che nel breve qualche elemento di ipercomprato si era visto, rendendo un consolidamento quasi necessario per le borse. Nonostante i saldi da inizio anno rimangano negativi, essi sono notevolmente migliori rispetto ai minimi fissati a metà giugno per la generalità dei listini.

Il grande dibattito in corso tra operatori e investitori è in primo luogo la natura dell’attuale recupero: se il pessimismo imperava infatti fino ad un paio di mesi fa (con i primi segnali di vero panic selling), ora il sentiment pare più equilibrato e diviso tra chi intravvede nei minimi di giugno dei valori definitivi e chi invece continua a ritenere che il rialzo di luglio ed agosto sia solo un mero rimbalzo (‘bear market rally’) all’interno di una tendenza che resta negativa. Se a giugno si scontavano calo degli utili, fase economica recessiva e Fed iper aggressiva, poi il contesto è migliorato, mostrando ancora una buona resistenza dei risultati aziendali, un mercato del lavoro solido e segnali di distensione sull’inflazione (con una politica Fed meno ‘urgente’).

Nel corso di questo 2022 ci si trova quindi ora di fronte a qualche elemento importante da soppesare: il prossimo simposio di Jackson Hole tra i banchieri centrali potrebbe dare qualche input, ma nel frattempo ci ha pensato James Bullard, presidente della Fed di St. Louis a proporre il suo pensiero, ossia di un ulteriore aumento dei tassi da 0,75 nella prossima riunione del FOMC a settembre. Una posizione che non ha fatto felici le borse le quali, probabilmente, potrebbero dover consolidare i risultati ottenuti. L’inflazione, infatti, in tutto il mondo mostra di ‘mordere’ ancora, con le tensioni legati all’energia (come in Europa) ancora forti. Le banche centrali (non solo la Fed, quindi) potrebbero dover essere più dure per stroncare la crescita dei prezzi: non è sufficiente restare su livelli elevati, occorre vedere delle discese significative. Da non dimenticare inoltre che da settembre inizierà una fase del Tightening più marcato (raddoppierà infatti a 60 mld per i Treasury e 35 per gli MBS) per centrare l’obiettivo di restringere il proprio bilancio. Difficile pensare che questo non apporti volatilità ai mercati.

Questi timori hanno prodotto il ritracciamento per l’azionario e una nuova ripresa sui tassi di interesse: il decennale USA si è riportato appena sotto il 3% (2,97%,+14 bps) mentre nella zona Euro il Bund è tornato ben sopra l’1% (1,23%, +23 bps). Ancora più forte l’incremento del rendimento del BTP (3,50%, +43 bps), che ha amplificato il rialzo dei tassi anche per motivazioni di ordine politico, visto l’avvicinarsi delle elezioni. L’aumento dei tassi ha danneggiato i segmenti governativi e corporate IG ma hanno ripreso a salire anche gli spread di credito (con il calo degli High Yield).

In calo le materie prime, con il solo Gas (+6,5%, su nuovi massimi di periodo) a sostenere il basket. In calo petrolio e oro ma i cali più marcati sono stati tra i metalli industriali e preziosi, anche a causa dell’aumento dei tassi reali e del Dollaro USA. Quest’ultimo (tornato sulla parità verso l’Euro) ha beneficiato della view più restrittiva sulle prossime mosse della Fed per i prossimi mesi. L’outlook rimane ancora favorevole alla valuta americana, con l’Europa anche in difficoltà economica.

Fonte: ufficio studi Consultique SpA

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