La politica monetaria della Fed USA e della Banca centrale europea rimane restrittiva.

Il ciclo di rialzo dei tassi dovrebbe però gradualmente volgere al termine. L'indebolimento della congiuntura diventa sempre più evidente, soprattutto nel settore bancario. Continua la pressione sulle Banche centrali impegnate nel contenimento dell'inflazione soprattutto dal comparto finanziario che sta risentendo maggiormente della crescita dei tassi di interesse operata sia dalla Fed che dalla Bce sia pure con calendari ed intensità diverse. 

Laprima settimana di maggio sembrava avviata, fino a giovedì, a correggere gli eccessi di ottimismo portati sui mercati azionari dai mesi di marzo ed aprile.

Sembrava che la crisi bancaria fosse tutt’altro che finita, con altre banche regionali prese di mira dalle vendite dopo il fallimento della First Republic Bank, la terza di medie dimensioni ad essere chiusa e quasi regalata a JP Morgan.

E' bastato che Apple imitasse gli altri colossi big tech con una trimestrale al di sopra delle stime degli analisti, per far scomparire tutti i timori e riportare la voglia di rischiare.

Così venerdì è passato al galoppo, con i compratori che si sono buttati, oltre che sulla tecnologia, proprio sui bancari, venduti per quasi tutta la settimana e d’improvviso tornati appetibili. Che cosa c’entri Apple con i bancari nessuno lo sa. Anzi, con il nuovo conto di deposito Apple Savings, che offre il 4,15% di rendimento sulla liquidità, la regina degli smartphone ora si candida a far concorrenza alle banche proprio sul loro terreno.

Poco importa. Bisognava tirare su l’umore degli investitori e così è stato, ignorando persino un dato USA sulla creazione di buste paga non agricole di aprile piuttosto robusto, che avrebbe dovuto, secondo logica, impaurire gli investitori per le implicazioni favorevoli all’inflazione, che riducono le possibilità che la FED a giugno fermi il rialzo dei tassi e a luglio cominci a tagliarli.

Nella notte tra giovedì e venerdì Apple, con la sua trimestrale, ha messo la ciliegina, anzi la mela morsicata, sulla torta. Così venerdì si sono viste dappertutto sedute di gloria per l’azionario, con ampi rimbalzi e recupero di almeno gran parte delle perdite della settimana.

Tra i principali indici occidentali (quelli asiatici sono stati in vacanza per gran parte della settimana) le migliori performance settimanali sono state il +1% del Ftsemib italico e il +0,24% del Dax tedesco. Insieme a loro anche il Nasdaq100 ha riportato in attivo la settimana (+0,1%). Non sono grandi rialzi, ma se si confrontano i dati con la seduta di giovedì per rendersi conto dell’impresa.

Tutti gli altri indici occidentali archiviano la settimana etichettandola con un giudizio di calo modesto. Il che, rispetto a giovedì, è grasso che cola.

Anche il petrolio ha avuto un rimbalzo significativo, tornando sopra quota 71 $ dopo la scivolata sotto i 64 $ di giovedì. 

Così anche i metalli preziosi hanno potuto correggere, dopo le corse rialziste di inizio settimana, dimostrando che la fuga dal rischio si è fermata e ora lascia spazio forse ad una nuova fase positiva per i mercati azionari.

Fa storcere un po’ il naso l’assenza di motivazioni concrete a sostegno di questo rialzo, che sembra pilotato dalle mani forti, magari per vendere meglio su livelli più alti.

Però chi si affida ai grafici vede segnali di recupero e a volte anche di inversione rialzista, che lasciano ben sperare. Sempre che non arrivi il colpo di coda dell’inflazione, che per gli USA verrà comunicata mercoledì prossimo, o nuove dichiarazioni di fallimento da parte di qualche banca regionale americana.

In sostanza le nubi sul mercato restano, la tendenza di fondo non sembra chiaro e le incognite soprattutto macro economiche continuano ad aleggiare sui mercati. 

 

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