La settimana appena conclusa consegna agli investitori un ulteriore risultato positivo per le borse internazionali: di fatto è la terza consecutiva con il segno positivo e la quarta sulle ultime cinque.
Il tono crescente assunto dai minimi di giugno permette ai listini di continuare il recupero dopo i primi pesanti sei mesi. L’indice globale MSCI World chiude infatti l’ottava con un +0,23%, anche se gli indici americani hanno fatto meglio (S&P 500 +0,4%, Nasdaq +2%), mostrando una buona forza relativa più alta rispetto all’Europa (Stoxx -0,5% e Eurostoxx +0,5%).
Wall Street ha confermato infatti ancora una buona tonicità e resta immersa nella stagione delle trimestrali, con i dati del secondo trimestre. Secondo Factset, con l’87% delle società che hanno ormai già rilasciato i dati, si vede come il 75% di esse hanno battuto le stime. Gli utili aziendali crescono, anno su anno, del 6,7%, un risultato positivo ma il più basso dal 4Q 2020 (ancora in piena pandemia). C’è da rimarcare che senza il contributo del settore Energy, il risultato sarebbe stato di un -3,7%. Per il 2022 gli analisti si attendono un risultato del +8,9% (+2,4% senza il comparto Energy).
Gli utili aziendali sono probabilmente uno dei due motivi che stanno dando supporto al movimento rialzista in corso, un elemento necessario (ma non sufficiente) per garantire una certa resistenza ai prezzi, come visto nella prima parte dell’anno dove è stato il declino dei multipli di valutazione (ora vicini a valori medi storici) a determinare il calo delle quotazioni. L’altro motivo è da ritrovarsi nelle pieghe della politica monetaria da parte della Federal Reserve. Se l’ultimo meeting del FOMC, infatti, aveva in qualche modo addolcito i toni e ipotizzato un percorso di rialzo dei tassi meno intenso, i dati macro di questa settimana sono sortito un effetto opposto, con S&P 500 e Nasdaq in ripiegamento dai massimi.
Il mercato del lavoro USA infatti si mostra ancora estremamente forte: crescono i nuovi occupati (più del doppio rispetto al previsto), si riduce la disoccupazione (dal 3,6% al 3,5%) e aumentano anche le retribuzioni orarie. Difficile una recessione imminente con questi dati ma anche un assist per la Fed per continuare i rialzi dei tassi per tamponare le pressioni inflazionistiche senza creare danni. Uno scenario quindi strano per i mercati che si vedono talvolta costretti a ‘tifare’ per cattivi dati macro al fine di evitare strette eccessive.
Infatti, i mercati obbligazionari hanno subito prezzato gli effetti: per settembre il rialzo da 0,75% è dato come molto probabile ma il top finale ora viene visto più lontano (marzo 2023 rispetto a dicembre 2022) e con un tasso più alto (area 3,50%-3,75% rispetto ai valori correnti tra 2,25%-2,50%). In rialzo quindi i tassi a breve USA e anche quelli a lungo, sebbene con magnitudine inferiore. Il risultato è una curva sempre più invertita (-0,40% tra 10Y e 2Y). Sui segmenti di mercato: in calo governativi e corporate investment grade (per effetto dell’aumento dei tassi, anche nella zona Euro), mentre il drastico calo degli spread di credito va a beneficio soprattutto dell’High Yield.
In netto calo le materie prime: il petrolio perde quasi il 10% (89$) e torna ai livelli pre guerra tra Russia e Ucraina. Investitori preoccupati per la minore domanda in prospettiva, come anche messo in evidenza da Bank of England e dal China Beige Book. In calo anche i prodotti agricoli e contrastati quelli industriali. In recupero l’oro, sopra quota 1.770 Dollari l’oncia (+0,5%). Il cambio Euro Dollaro resta ancorato in area 1,01-1,02, viste le prospettive di rialzo tassi da parte della FED.
Fonte: ufficio studi Consultique SpA