Settimana debole e di attesa quella vissuta dai mercati finanziari, con gli operatori che cominciano a sentire quanto in arrivo nella prossima ottava, quando sia la Fed sia la BCE terranno i loro meeting periodici.

Un evento che potrebbe fungere da catalizzatore di movimenti in ottica intermarket e quindi tanto sui mercati azionari che su quelli obbligazionari, senza dimenticare cross valutari e materie prime. Gli ultimi due mesi hanno mostrato una fase di maggiore distensione: il calare dei rendimenti ha permesso il miglioramento delle performance per i listini azionari mentre per i bond è arrivato un recupero dopo i pesanti rovesci della prima parte dell’anno. Per entrambe le asset class un recupero quindi importante sebbene le prospettive non sia identiche: per l’obbligazionario le opzioni per cambiare di segno dopo un 2022 nefasto sono maggiori: in caso di picco sui tassi (sia con economia stabile che debole), i bond (almeno quelli governativi e di alta qualità) sembrano avere più risultati a disposizione nella partita. Lo scenario perdente sarebbe quello di una inflazione ancora difficile da sradicare, tanto da portare le banche centrali ad andare oltre a determinati livelli. Per le azioni il discorso è un po' diverso: svantaggiate, ovviamente, da un percorso di rialzo tassi non terminato (o di tassi che non scendono), prestano il fianco anche all’aspetto legato agli utili aziendali, nel breve stabili (grazie al settore energy) ma anche in termini di stime. Motivo per cui dicembre appare un crocevia da cui poi si prenderà direzione dai primi mesi del prossimo anno. Va inoltre annotato come esiste un effetto di erosione in corso che lavora quasi in background: l’inflazione ‘mangia’ i risparmi dei consumatori e i margini aziendali, più a lungo essa persiste più il danno diventa rilevante. Tanti anni di liquidità iniettata fungono ancora da ammortizzatore, per questo è importante capire le prospettive a medio termine del fenomeno inflattivo. Quanto visto sui prezzi alla produzione USA lo dimostra.

In tema di listini azionari, il saldo generale settimanale è stato negativo dopo diverse ottave di positività, con l’indice MSCI World negativo di oltre il 2% (-2,5%). Il ribasso riporta l’indice sotto al -15% da inizio anno, con gli indici americani che hanno avuto un ruolo preponderante nel risultato negativo. Accidentato il percorso di breve dell’S&P 500 (-3,3% nell’ottava): arrivato puntualmente all’appuntamento con l’area di resistenza tra 4.050 e 4.100 punti, l’indice USA ha ritracciato, tornando anche sotto al magic number di quota 4.000 e con il tentativo di riemersione bloccato dai dati sui prezzi alla produzione più alti rispetto alle attese, elemento che ha raffreddato i recenti entusiasmi. Anche perché martedì prossimo toccherà ai prezzi al consumo ed è significativa l’attesa per capire se il trend di discesa dell’inflazione è da considerarsi avviato o se prevarrà la sensazione di una ‘sticky inflation’ come diversi opinionisti evidenziano. La discesa negli USA ha visto una maggiore debacle per Nasdaq 100 (-3,6%) e Russell 2000 (-5,1%): comparti growth e small cap ancora non riescono a invertire le tendenze di forza relativa, appesantite anche da aspetti legati agli utili piuttosto che ai tassi di interesse. L’indice Vix (volatilità sull’S&P 500) è stato precisissimo: arrivato per la terza volta nell’anno in area 18, ha poi ripresentato velleità al rialzo (area 23), in linea con il maggior nervosismo di mercato.

Per quanto riguarda gli altri mercati, l’Europa ha mostrato una maggiore resistenza alla debolezza settimanale, con discese tra l’1% e l’1,5%. E’ il riflesso di una composizione poco Tech: in settimana lo stile Value, se pur col segno meno, ha fatto meglio, anche se il best performer appartiene ancora a quello High Dividend e a quello Low Volatility. Tra i settori: male l’Energy (-7%, appesantito dalla caduta del prezzo del petrolio), Tech e ciclici mentre si salvano Utilities e Health Care, quasi invariati. Tra i tematici: cali per molti settori legati all’energia (sia tradizionali che innovativi) oltre che i comparti dell’ambiente tecnologico. In forte recupero la Cina (+7%) grazie alle attese di minor lockdown economico-sociali.

I bond hanno provato a mantenere la serie positiva che ha contraddistinto il loro corso, tentando di limare ancora qualcosina su delle variazioni che comunque, da inizio dell’anno, rimangono ancora piuttosto negative. Prima dei dati macro USA di venerdì, i cali dei rendimenti erano sensibili sui governativi della zona Euro, meno negli USA. Sul finire di settimana però, poi, le performante sono girate in negativo. Il bottino, comunque, degli ultimi mesi è importante: il decennale americano, dopo aver toccato un massimo del 4,35% lo scorso ottobre, ha poi ritracciato con forza, tornando a testare area 3,50%, ossia il precedente massimo di giugno. L’abbassamento della parte lunga della curva risponde a due elementi: in primo luogo, le attese di mercato di una Fed meno aggressiva e che si ‘accontenterebbe’ di un 5% come top nella politica monetaria, fattore che ha portato ad uno shift di tutta la curva verso il basso (ad eccezione del breve, dove regna incontrastata la Federal Reserve), dall’altro gli elementi macro che il mercato immagina potranno concretizzarsi nel 2023 con un rallentamento economico in avvicinamento. La curva stimata dal mercato vede sempre un top in area 5% tra 6 mesi (attorno a maggio/giugno), seguita da un breve plateau e con i primi tagli dei tassi verso la fine del 2023. Questo può essere uno scenario se l’inflazione effettivamente sarà domata: le aspettative ad un anno convergono verso un 2,3%-2,4%, con un abbattimento quindi importante rispetto agli attuali valori sopra al 7%. Un primo banco di prova ci sarà la settimana prossima (13 dicembre): per il CPI le attese sono di un 7,3%, in discesa significativa quindi rispetto al 7,7% di ottobre. Nell’ottava conclusa l’antipasto rappresentato dal PPI ha lasciato invece un po' di delusione: i prezzi sono aumentati più del previsto (+0,3% sul mese e +7,4% nell’anno).

Sulla base di questi numeri e di quelli del mercato del lavoro (che rimane abbastanza forte per il momento), la Federal Reserve si riunirà il 13-14 dicembre, per comunicare ai mercati la propria decisione sui tassi e per dare le proiezioni economiche per il futuro. I mercati scontano un aumento di uno 0,50% che porterà i tassi quindi al 4,50%, ma saranno ovviamente i toni e le prospettive ad essere dominanti nell’analisi che faranno i mercati. Il tasso a 2Y resta stabile in area 4,35% mentre il decennale ha dato segnali di risveglio, tornando sopra il 3,50% dopo i dati sui prezzi alla produzione. La curva resta comunque pesantemente invertita, così come del resto nell’Eurozona. Il Bund a 2Y si conferma infatti ben sopra al 2% (2,16%) mentre il titolo a 10Y ha effettuato un test dei massimi di giugno (area 1,75%-1,80%) per dare poi anch’esso segnali di risveglio (close all’1,93%). Sembra stoppata anche la discesa del rendimento del titolo italiano pari scadenza, che torna a rendere il 3,84%, ma senza alcun segnale di tensione su CDS o Spread con Bund (188 bps). Tra gli altri segmenti obbligazionari, poco variato il corporate IG, sia Euro che US mentre l’High Yield è tornato a soffrire in correlazione con l’asset class azionaria.

Debole (-2%) il paniere di materie prime, con la conferma di un andamento ormai volatile da diverse settimane: il basket ha sostanzialmente tenuto nel breve grazie all’azione compensativa di alcune componenti, come commodities industriali e oro, che hanno controbilanciato le forti discese di quelle energetiche. Il petrolio ha toccato infatti nuovi minimi in settimana, tornando in area 71$, con un -11% settimanale, mentre il gas è riuscito a stoppare la discesa. Stabile l’oro a quota 1.800, mentre guadagna ancora l’argento. Bene anche zinco e nickel. Per quanto riguarda invece l’ambito valutario, il cross EUR-USD ha chiaramente mostrato un atteggiamento di attesa verso i meeting delle banche centrali, con l’andamento bloccato nell’intorno di quota 1,05. Il tono resta crescente sul breve ma il newsflow in arrivo settimana prossima sarà certamente importante per la prossima direzionalità. In ambito cripto, leggero segno più per il Bitcoin che torna sopra quota 17.000, debole invece Ethereum.

Fonte: ufficio studi Consultique spa

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