Tanta era l’attesa per i diversi eventi previsti per questa settimana, con gli investitori desiderosi di avere punti di riferimento per il futuro: un menù ricco di appuntamenti, da quelli di natura macroeconomica (inflazione in primis) ma soprattutto relativi alle decisioni delle banche centrali.

Il risultato settimanale sembra quasi riassumere quello che è successo in questo 2022, ossia speranze di recupero e successiva disillusione e delusione. Il dato sul CPI americano (prezzi al consumo) è stato accolto con grande entusiasmo da parte dei mercati: dalle 14.30 di martedì gli indici sono schizzati al rialzo così come il cambio Euro-Dollaro USA, andando quindi a scontare una FED finalmente più rilassata. Il ritracciamento (di tutte le asset class) in direzione opposta ha evidenziato subito qualche dubbio…non era esattamente questo quello che i mercati si auguravano da tempo? Il temporaneo recupero è stato un battito di ciglio, prima Powell e poi Lagarde hanno affossato buona parte della costruzione rialzista e positiva che i mercati assaporavano da ormai diverse settimane, preludendo ad una continuazione (‘’rally di Natale’’). Troppa la distanza tra le attese di mercato (non tanto sull’entità dell’aumento dei tassi ma sulle prospettive per il 2023), con le banche centrali che sono apparse molto determinate nel proseguire il loro obiettivo di tenere a bada l’inflazione, temendo nuove fiammate o ritenendo che pause o atteggiamenti troppo prudenti possano far deragliare i piani delineati. E’ apparso chiaro, inoltre, che sebbene siano ben presenti dei rischi recessivi, FED e BCE li accettino come parte del gioco: un ‘moral hazard’ non da poco. I dati macro USA rilasciati non fanno ben sperare.

In tema di listini azionari, il saldo generale dell’indice globale è stato nuovamente negativo (-2,1%), dopo la perdita di valore della settimana scorsa. Quello che sembrava un alleggerimento precauzionale pre-banche centrali, si è trasformato per le borse in un peggioramento del quadro tecnico che fa calare le possibilità di un’inversione generale dal downtrend del 2022, un’ipotesi che aveva solleticato le speranze degli investitori. E’ evidente che con banche centrali che giocano contro (il vecchio adagio “Don’t fight the Fed risuona chiaro in questi giorni), non è facile per i listini riguadagnare immediatamente forza. Da una parte, infatti, l’atteggiamento restrittivo continua ad esercitare pressione sui multipli di valutazione, dall’altro c’è il rischio che con le azioni della banca centrale, l’effettivo rallentamento economico arrivi (soft o hard che sia) e con esso una revisione al ribasso degli utili aziendali. L’S&P 500 così, nella sua settimana, è passato dal testare le tanto note quanto ostiche resistenze in area 4.150 a rivedere valori sotto i 3.900, con quest’ultimo ha fatto spesso da crocevia nel corso dell’anno. I rischi sono ora di un degrado del quadro tecnico e vedono infatti un riavvicinamento a quelle soglie toccate nello scorso ottobre: non tutto è perduto, ma la presa di coscienza dei mercati è che occorrerà probabilmente anche la prima parte del 2023 per riuscire a sbrogliare la matassa complicata che il 2022 darà in eredità. L’effetto tasso ha investito più il Nasdaq (-2,8%) dell’S&P 500 (-2,1%), proprie per le tematiche oggetto di valutazione durante l’anno (tassi). L’indice Vix, in fase distensiva dopo il dato di inflazione è poi tornato a salire (22/23) ma senza particolari eccessi di pessimismo e volatilità.

Per quanto riguarda gli altri mercati, è fallito questa volta il tentativo dell’Europa (-3,5%) di parare meglio il colpo rispetto alle borse a stelle e strisce. La causa va ritrovata nel posizionamento molto ‘hawkish’ del board della BCE, fattore che di fatto metto l’Europa di fronte ad una prospettiva di tassi in aumento e possibile fase di debolezza economica. Anche se tra i settori globali è ancora il Growth ad essere sottoperformante rispetto ai settori tradizionali e difensivi. Bene l’Energy (+0,5%) grazie al recupero (parziale) del prezzo del petrolio e i difensivi. Flessioni pesati per ciclici e materials. Tra i temi, qualche segno più per Biotech, Clean Energy mentre le nicchie tech hanno fatto ancora fatica.

La sintesi che possiamo ritrovare dopo una delle settimane più convulse del 2022 è che il film che si è visto nell’anno (e che gli operatori speravano di archiviare con un moderato ottimismo) non è ancora effettivamente concluso ed il ‘merito’ è da iscriversi alle dichiarazioni delle banche centrali. Questa, infatti, l’idea, forse ingenua, dei mercati, ossia di aver stimato con successo i cosiddetti terminal rate che BCE e FED volessero raggiungere…sta di fatto che questa speranza si è sciolta neve al sole appena ha iniziato a parlare Jerome Powell nel meeting FED di mercoledì 14 dicembre. In realtà l’indietreggiamento delle borse era iniziato già dopo il rilascio dei dati sull’inflazione, quasi a veder ormai scontato il positivo che vi era nella notizia (una sorta di ‘sell on news’). Le parole di Powell non sono state propriamente dolci, ma nemmeno così lontane da quello che un po' è stato detto recentemente dal capo della FED, sono stati i mercati quindi a viaggiare troppo di fantasia. Anche nell’ultimo discorso di qualche settimana fa, era stato ribadito che non c’è da pensare a immediati retrofront in tema di politica monetaria e che è necessario attendere una verifica dei dati dei prossimi mesi. I tassi, comunque, come da attese, sono stati alzati di uno 0,50%, nel range compreso tra 4,25%-4.50%, con gli obiettivi di mantenere alta l’occupazione e un tasso di inflazione al 2%. Powell, di fatto, ha confermato che il ‘plateau’ dopo il picco di politica monetaria (secondo il Dot Plot della Fed in area 5%-5,25%) potrebbero durare per tutto l’anno prossimo prima di vedere un taglio dei tassi. E qui cominciano le due differenze rispetto alle attese di mercato: un picco leggermente più basso (4,75%-5,00%) e prime stime di riduzione della fase restrittiva sostanzialmente nel 2024. Insomma...un po' di delusione è arrivata. Sul piano economico, le stime di crescita sono state portate (e ridotte) allo 0,50% nel 2023 e all’1,6% nel 2024, con l’inflazione vista al 3,1% l’anno prossimo.

Se Powell ha fatto il ‘grinch’ della situazione, Christine Lagarde ha indicato una via particolarmente ostica anche per gli investitori della zona Euro. E qui le attese sono state…disattese molto di più rispetto alla FED, perché ci si attendeva certamente un rialzo dei tassi dello 0,50% ma con quest’ultimo che avrebbe avvicinato in modo sostanziale la BCE al target finale per il costo del denaro. Niente di tutto ciò, anzi, la BCE ha mostrato una determinazione, da lato, nel contrastare l’inflazione ma, al contempo anche un po' di confusione nel suo agire. I tassi, dice Lagarde, devono salire ancora molto rispetto ai valori attuali (!) in quanto l’inflazione è molto alta, in senso assoluto e vista anche in risalita (!). Diventa a questo punto poco comprensibile come mai non si sia proceduto con maggiore incisività, demandando al futuro altre azioni sui tassi oltre che all’inizio del Quantitative Tightening sul bilancio della BCE. Per quest’ultimo è previsto per marzo e ha provocato un ampio movimento, specie sui bond della parte non-core della zona Euro. Il decennale sul BTP ha toccato il 4,40% (e veniva da valori sotto il 4%) mentre il Bund si è riportato in area 2,20%. In salita ovviamente anche i rendimenti a breve a 2 anni. Per BCE il mercato vede ora un terminal rate del 3,25% tra un anno (dal 2% attuale sui depositi): un salto che ha portato a segni meno marcati sul mercato dei bond, tanto sui governativi che su corporate e high yield.

Per quanto riguarda le materie prime, il paniere ha risposto con movimenti poco marcati rispetto all’alta volatilità registrata invece su equity e bond. Al rialzo del petrolio (+4% a 74$, ma la chiusura è stata inferiore al top settimanale) è corrisposta una generale debolezza per tutte le materie prime industriali. L’oro tra alti e bassi si è mantenuto appena sotto area 1.800 Dollari l’oncia. In tema valutario la settimana ha visto un rafforzamento dell’Euro verso tutte le valute, in considerazione di questa BCE così aggressiva. I tentativi di breakout (oltre 1,07) sono stati tutti respinti, così si è rimasti in un uptrend ancora favorevole all’Euro ma senza eccessi. Tornano a scendere le cripto, soprattutto Ethereum.

Fonte: ufficio studi Consultique SpA

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