Le tematiche del 2022 continuano a ripresentarsi anche in questo inizio di nuovo anno, quasi a confermare che per districare la matassa creatasi nell’ambiente finanziario richiederà tempo e pazienza per gli investitori. La dinamica settimanale, infatti, presenta molti dei protagonisti del ‘film’ dell’anno scorso, con i mercati desiderosi di archiviare un anno nero per i rendimenti azionari e obbligazionari e avviare magari un recupero di quanto perso nel 2022. La sensazione è infatti di listini pronti a scattare (come successo nella giornata di venerdì) non appena si presentino alcune condizioni chiave per una ripartenza. Finora, i tentativi sono andati tendenzialmente a vuoto: sia i rally di agosto che quello di ottobre scorsi sono stati seguiti da altrettanti ritracciamenti, colpa soprattutto non tanto dei dati macro ma dalla rigidità delle banche centrali, poco inclini a cambiare traiettoria nelle loro politiche e timorose di finire ‘troppo presto’ il loro lavoro, vanificando quanto fatto finora con la fase di restrizione monetaria in corso.
Dal punto di vista dei dati macroeconomici, l’ottava è stata complessivamente utile per alcune considerazioni: l’inflazione è in fase di svolta verso il basso e la conferma arriva da quanto rilasciato nell’Eurozona, con valori in contrazione per Francia, Germania e (se pur in tono minore) anche per l’Italia. Si parla di prezzi al consumo e di prezzi alla produzione, con una prosecuzione delle distensioni già viste sul finire del 2022. Certo, i valori anno su anno, restano alti, ma almeno su questo aspetto il mercato può rasserenarsi (almeno per il momento). Dove vi è meno univocità negli andamenti è sul piano squisitamente economico: le risultanze sul mercato del lavoro USA mostrano ancora piuttosto tonico (disoccupazione in calo al 3,5%), fattore che potrebbe non essere gradito da parte della Fed. Se non si manifesta qualche debolezza, dice la banca centrale americana, difficile pensare ad una estirpazione definitiva del fenomeno inflattivo. La combinazione “no-inflation/no-recession” è effettivamente stretta sul piano macro.
La dinamica delle borse in questa prima settimana dell’anno ha visto diversi cambi di direzione: una prima corsa in avanti degli indici, il raffreddamento degli entusiasmi dopo il rilascio dei verbali dell’ultimo meeting Fed ma anche una chiusura finale con un nuovo bel balzo in avanti. Il tutto accompagnato anche da un’ampia dispersione dei rendimenti sia tra aree geografiche ma anche tra scelte settoriali da parte degli investitori. Wall Street trova sul finale d’ottava prima la forza di tenere le soglie critiche di breve e poi di avviare un altro presumibile tentativo di risalita. Area 3.800 di S&P 500 rappresenta due cose: una soglia rilevantissima per impedire un test dei minimi di ottobre (quota 3.500-3.600) ma anche un valore mediano tra quei minimi e l’ultimo massimo relativo di metà dicembre (quota 4.100). Come se si fosse individuata una sorta di area di attese prima di prendere la direzionalità annuale. Il cronometro scorre e non manca molto ad una ‘resa dei conti’, che avverrà probabilmente in questi primi mesi del 2023. Detto delle dinamiche tassi e banche centrali, manca all’appello anche la tonalità degli utili aziendali.
Da un lato, quindi, Wall Street continua, comunque, a temere la Fed: il rilascio dei verbali della Fed del meeting di dicembre mostra una banca centrale che da un lato propone la ‘carota’ agli investitori (i rialzi saranno più graduali) ma dall’altro ammonisce sulle corse in avanti sul resto dell’anno, mostrando quasi fastidio nel vedere rialzi veementi delle borse o degli indici obbligazionari. La reazione positiva nella giornata di venerdì avviene nonostante gli ottimi dati del mercato del lavoro (payroll, disoccupazione) ma si sa, gli operatori in certi frangenti, ‘vogliono’ vedere il bicchiere mezzo pieno, riscontrabile in una economia da ‘soft landing’ (con poco impatto quindi negli utili aziendali). La lettura positiva è soprattutto sul fronte della crescita dei salari: +0,3% mensile (vs +0,4%) e +4,6% anno su anno (vs +5%), segnali di una possibile moderazione. Sulla falsariga, quindi, di quanto visto in Europa sul fronte dell’inflazione: forse una lettura audace, ma ai mercati piace pensare ad una economia stabile e con inflazione in moderazione, avendo già prezzato nel 2022 il re-rating legato a tassi e multipli. Intanto sull’S&P 500 arrivano ora le prime resistenze tecniche (3.900 in primis) per una verifica di quanto visto in questa ottava. Tonica l’Europa che si vede destinataria di flussi in entrata nonostante anche la BCE sia in fase restrittiva ma la composizione più value pone il Vecchio Continente un po' più al riparo in questa fase. La settimana si chiude con indici europei in progresso del 5%-6% mentre Wall Street rimane più indietro (S&P 500 +1,5% e Nasdaq +0,9%). Settorialmente, ottimi segni più per i ciclici (Materials, Financials, Beni discrezionali) mentre hanno arrancato difensivi come l’Health, oltre alla strana coppia Energy/Tecnologici (se pur con motivi diversi).
Prima settimana positiva per l’obbligazionario dopo una seconda metà di dicembre (dopo i meeting di BCE e FED) difficile per gli investitori. Soprattutto nell’Eurozona si sono visti cali nei rendimenti, sia sulla parte a breve che a medio lungo della curva. I dati sull’inflazione europea hanno certamente aiutato, seguiti poi da quelli sul mercato del lavoro USA. Si chiude con un Bund tedesco a 10y al 2,2% e un Treasury 10y in area 3,60%. Sul fronte delle attese sulla politica monetaria, si confermano i top in area 5% per la Fed e del 3,5%-4% per la BCE, con del lavoro da fare quindi soprattutto per la seconda. Da sottolineare come il mercato sia più ‘ottimista’ sulla successiva inversione, credendo ancora poco alla durezza di BCE e FED: non si andrà più in alto di certi livelli e poi presumibilmente si ritornerà sui propri passi.
Settimana debole per le materie prime, con il basket che perde il 4%: a concorrere ancora la debacle del gas (altro -17%) ma anche del petrolio (74$, -8%). Deboli anche metalli industriali e agricole, con solo l’oro (1.865) ad essere positivo, assieme ad altri metalli preziosi visto il netto calo dei tassi reali. Anche sul fronte valutario, settimana di volatilità, con un momentaneo ritorno di forza per il Dollaro USA (1,05) ma con una successiva inversione sul finale che riporta i valori quasi al punto iniziale (1,065) dopo i dati macro USA sui salari. Anche in questo caso il mercato ha dato più peso alla tesi di una Federal Reserve che può essere più vicina al target di politica monetaria rispetto alla Banca Centrale Europea.
Fonte: ufficio studi Consultique SpA