Ottava di borsa opaca per i mercati finanziari internazionali, con le borse poco variate e senza particolare direzionalità mentre i bond evidenziano la prosecuzione del trend debole con rendimenti in lieve aumento.

La fase sembra quello di un assestamento generale in attesa di market mover capaci di dare direzionalità più precisa alle asset class: si viene da un marzo tormentato per via delle tensioni sul mondo bancario e da un successivo recupero che da una parvenza di serenità ritrovata. È preferibile parlare di parvenza perché le problematiche legate alla fase di restrizione monetaria rimangono lì, con le banche centrali che non hanno certamente mollato la presa. La stessa Fed, più vicina all’obiettivo tecnico di riduzione dell’inflazione, è divisa al suo interno, con esponenti che mantengono l’idea di un’economia capace di sopportare tassi più alti mentre la BCE deve quasi obbligatoriamente mantenere la barra dritta fin che i dati macroeconomici lo consentono. In fondo, si tratta di creare dei ‘tesoretti’ il più ampi possibile per il futuro che verrà e su cui lo stesso mercato ha opinioni spesso anche molto diverse. La tesi di base, tuttavia, resta quella di un rallentamento non marcato che il mercato dei bond ha in parte prezzato e con l’azionario che attende di volta in volta dati macro e trimestrali societarie per capire l’impatto che si sta verificando. Le trimestrali in corso ancora una volta sono in chiaroscuro ma non negative, con qualche sorpresa ma che nel complesso fanno il paio con un quadro macro in chiaro indebolimento ma senza cadute evidenti. Da qui si spiega anche il calo progressivo della volatilità, un elemento che prelude comunque a qualche movimento più marcato man mano che ci si avvicinerà ai meeting delle banche centrali previsti per l’inizio di maggio.

Siamo in piena earnings season, lo stagionale appuntamento di Wall Street per verificare lo stato dell’economia o almeno quella finanziaria. Come al solito nelle valutazioni di medio termine contano sempre le solite due cose: da un lato, quanti utili stanno facendo e faranno le società e, dall’altro, la dinamica dei tassi di interesse (che condiziona i multipli di valutazione). Il primo quarter aveva attese molto basse, -7,7% (consensus generale) rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, per cui si stanno avendo complessivamente risultati superiori, sia sugli utili che sui ricavi. Meglio un po' tutti i settori ad eccezione della tecnologia che sta un po' deludendo e questo ha un po' smorzato gli entusiasmi di inizio d’anno. Anche il secondo quarter è visto ancora negativo (-6,6%) con un miglioramento invece sul finire d’anno e un saldo totale nel 2023 quasi invariato (si spazia dal -1% di Bloomberg al +1% della media generale). Wall Street incorpora quindi un affievolimento del momentum economico senza drammi, un po' quello che presuppone anche la Fed. Il quadro macro è anch’esso calante, tenuto conto ovviamente che c’è un effetto ritardo nella registrazione del cambio di tendenza dei dati. Il mercato del lavoro, nonostante qualche appannamento, rimane nel complesso ancora integro e con esso i consumi. Quello che sta frenando sono certamente i prezzi alla produzione mentre meno lo stanno facendo quelli al consumo. In UK l’inflazione rimane sopra al 10% mentre nell’Eurozona gli ultimi dati sono in decremento ma sempre alti (+6,9% vs 8,5%).

Wall Street finisce quindi per ondeggiare, tirato, da una parte, dalle preoccupazioni circa un esito non felice dell’attuale manovra della Fed (non mancano i consueti richiami di analisti storicamente noti per le previsioni catastrofiche), dall’altro, invece, confortato dal fatto che la più volte annunciata recessione non è arrivata (si era cominciato a parlarne già a luglio dell’anno scorso). Può essere che le attuali quotazioni e valutazioni abbiano elementi a supporto (le guidance, come detto, sono prudenti, una discesa dei tassi consentirebbe maggiore ‘relax’ sui multipli) ma anche fattori meno positivi (la contrazione del credito da parte del sistema bancario, un’inflazione poco disponibile a discese più convinte, la situazione immobiliare), per cui il risultato è un trend che vede le quotazioni che si muovono entro range di prezzo molto stretti.

Il cammino del principale indice mondiale, l’S&P 500, vede poche novità nell’ottava appena conclusa con le quotazioni che continuano ad attestarsi sopra i 4.100 punti ma con davanti alcuni ostacoli tecnici che impediscono per il momento di poter pensare più in grande. Poco più avanti, infatti, si trovano le resistenze di area 4.200, livello dal quale l’indice ha ritracciato dopo il tonico mese di gennaio. Ricorrenza tecnica che coincide anche con un contesto tutto sommato simile: i tassi hanno fatto giravolte confrontabili con un titolo azionario ma sono tornati ai livelli di inizio febbraio mentre il quadro congiunturale è comparabile (la tensione sulle banche pare essere stata riassorbita). Insomma, servono driver più decisi per far piegare le quotazioni da una parte o dall’altra così come per sopravanzare dei livelli tecnici ostici. Anche il Nasdaq 100 rimane alle prese con quota 13.000, ugualmente stretto in un range molto limitato ormai da 3 settimane: da vedere se le trimestrali delle big daranno qualche scossone. La settimana si chiude con i tech in leggero calo (-0,6%) mentre i saldi sono quasi invariati per l’S&P 500; Europa (+0,4%) e Giappone riescono a fare leggermente meglio. Meno positiva invece la settimana per gli emergenti, tutti negativi (Asia e Latin America). In termini settoriali c’è stata più dispersione: passi falsi per Communication Services ed Energy, più tonici Finanziari e Consumer Staples.

In tema di obbligazionario, da segnalare la presa di posizione del presidente della Federal Reserve di St. Louis, James Bullard, il quale da un lato non vede nel quadro macro e finanziario una recessione o una crisi bancaria, mentre, dall’altro, ammonisce che i livelli di inflazione ancora elevati richiedono sforzi maggiori da parte della banca centrale americana. Secondo Bullard, il mercato del lavoro rimanendo solido contribuirà a sostenere ancora i consumi, con il risultato di non dar luogo a scenari recessivi per il 2023. Il mercato non sembra essere così convinto della tesi, sebbene il consensus ormai sia abbastanza consolidato per una ulteriore stretta da 0,25% per il meeting del 3 maggio (90% di probabilità). La stazionarietà dei tassi dovrebbe mantenersi fino a settembre, che inaugurerebbe la stagione dei primi tagli (ma con calma). La marcia della BCE sembra invece essere più decisa: almeno 3 rialzi da 0,25% da qui a settembre e poi una pausa. In entrambi i casi, si può tranquillamente dire, visto l’ultimo anno, che tutte queste previsioni sono pronte ad essere riviste ... e in tutte le direzioni! Vedremo se effettivamente si arriverà a tassi terminali al 5%-5,25% negli USA e al 4%-4,25% nell’Eurozona.

A livello di tassi, continua il recupero di quelli a breve dopo lo shock di marzo, anche se i livelli di top restano distanti. A 2 anni un Treasury rende il 4,18%, un Bund il 2,92% e un BTP il 3,49%, tassi in risalita che si adeguano ad un ritorno di pressione legato alle azioni delle banche centrali. Sui tassi a lungo si conferma una maggiore moderazione e volatilità ma la tendenza sembra quella di poter vedere valori più alti nelle prossime settimane: sulla scadenza decennale Treasury al 3,57%, Bund al 2,48% e BTP al 4,35%, con il risultato di avere Governativi e Corporate Investment grade deboli. Anche le asset class più rischiose (High Yield, Emergenti) chiudono l’ottava in indietreggiando. Stabili anche i credit spread che dopo il caos legato alle banche USA e a Credit Suisse non hanno più evidenziato slanci verso l’alto.

In ambito materie prime, segno meno significativo per il paniere generale (-2,1%) con il ritorno verso il basso del petrolio (-5,8% a 78$). Negano il rialzo della settimana scorsa i metalli industriali, correlati all’andamento debole dei paesi emergenti. Sul forex, l’Euro rimane nei pressi (appena sotto) area 1,10, in attesa di vedere i posizionamenti delle banche centrali e soprattutto delle prospettive per i prossimi mesi. Debole il Real brasiliano e ritraccia (-10%) anche il Bitcoin (assieme le altre cripto) dopo la forte salita delle scorse settimane.

Fonte: ufficio studi Consultique SpA

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