Non dovrebbe farlo (il 2022 nella mente degli investitori pesa ancora!), ma la settimana appena conclusa sui mercati finanziari internazionali è riuscita a portare in positivo sia i listini azionari che quelli obbligazionari, con segni più incoraggianti in quello che è un inizio d’anno particolarmente favorevole in logica multi-asset.

La sensazione, in precedenza descritta nell’ultimo Osservatorio, di listini pronti allo scatto, si è confermata proprio in questa settimana, soprattutto per le borse e con una particolare inclinazione per i settori ciclici. La fase attuale sembra una sorta di riequilibrio rispetto al grande pessimismo che si era impadronito dei mercati nella seconda metà di dicembre. Non sarà sfuggito ai più che il tradizionale (e talvolta mistico) rally di Natale sia stato avaro con chiusure d’anno pessime sia per azioni che per obbligazioni (queste ultime appesantite da forti progressi dei tassi). I mercati, anche grazie ai dati macro, si stanno via via sempre più convincendo di una tesi più dolce per l’anno in corso: un’inflazione in decelerazione e soprattutto domabile da parte delle banche centrali: fintanto che non si assisterà ad una recessione severa (sul piano macro e su quella degli utili), rimarrebbe uno scenario di quanto meno stabilizzazione rispetto al 2022.

I dati macro-settimanali sono stati incentrati ovviamente sull’attesissimo dato di CPI americano, uscito giovedì. I giorni precedenti sono stati tendenzialmente positivi, con i mercati quasi desiderosi di andare a scontare dei dati molto positivi sul fronte dei prezzi al consumo. Un tendenziale che dura già da qualche mese e che anche sul dato rilasciato per dicembre (6,5% vs 7,1% precedente) ha visto una flessione dei valori ma centrando comunque le attese degli analisti (niente effetto sorpresa e fuochi d’artificio ma un mantenimento dei livelli dopo qualche sussulto iniziale). La Fed monitora l’inflazione ‘core’ (immobiliare/affitti escluso, che stanno ancora salendo con forza) che mantiene comunque un tracciato discendente: rimane da capire se lo sta facendo abbastanza per la Federal Reserve e per il Signor Powell.

Le modellistiche (Taylor Rule, nelle formulazioni più soft) decretano che se la Fed raggiunge il 5% (i Libor stanno frenando) si troverà tra 7-8 mesi nella posizione in cui vuole essere, ossia con un margine sufficiente (almeno un 2%) per governare la spirale inflazionistica. È questo che vedono i mercati e che, unitamente a stime sugli utili che se pur non brillanti non vedono downside (se non a macchia di leopardo e su settori, come i tech, che avevano fatto il pieno negli anni scorsi), permette ogni tanto qualche fuga in avanti. Sul tema degli utili, quelli delle banche USA, se pur in chiaroscuro, sono stati nel complesso ben accolti. Chi non ha una view di questo tipo obietta facilmente due cose: la prima di stare attenti a cosa si desidera, la seconda che, tra qualche mese, i mercati potrebbe dire a sé stessi: “Ah, ecco perché l’inflazione scendeva così rapidamente!”.

La settimana, comunque, si è chiusa con rendimenti decisamente positivi per tutti i listini internazionali e con l’Europa che da inizio anno, dopo un 2022 già vittorioso contro Wall Street, mantiene la sua forza relativa positiva. Quasi spettacolare il salto dell’azionario europeo dai minimi di ottobre, sospinti da flussi in entrata (grazie anche al Dollaro USA molto o troppo forte), da multipli più convenienti rispetto a Wall Street e da una composizione settoriale che ha limitato il peso sui comparti ‘growth’.

L’S&P 500, da un punto di vista tecnico, sta provando a concretizzare l’inversione del downtrend dello scorso anno e una inversione è tale se avviene con minimi progressivi crescenti nel tempo. Il primo è certamente l’area dei minimi (3.500-3.600) raggiunta nello scorso ottobre quando infuriava l’inflazione e la Fed stava premendo sull’acceleratore sul fronte dei tassi, di fatto non badando alle conseguenze economiche dell’operazione in atto. Il secondo è rappresentato da quota 3.750-3.800, che proprio nell’ultimo mese ha costituito il bastione contro il nuovo assalto ribassista. Una tenuta, di cui è già stata sottolineata l’importanza ma che, in caso di violazione, rappresenterebbe un campanello d’allarme. L’altro indice americano ma di matrice tech, il Nasdaq 100, ha seguito la tendenza positiva, cercando anche di risollevare la propria forza relativa, dopo le batoste degli ultimi mesi. Qui i supporti di area 10.700, molto vicini ai minimi di ottobre, sono basilari per evitare un nuovo approfondimento ribassista. Il Vix segnala livelli sempre più bassi, quota 18 non si vedeva da aprile 2022.

Gli indici europei hanno ottenuto performance molto toniche, il che porta il saldo da inizio d’anno a valori molto lusinghieri per l’indice Eurostoxx 50 (l’S&P 500 resta ancora indietro). Al di là del trend in sé, la tendenza di forza relativa appare sostenuta e sostenibile nel medio termine perché deriva dalla differente esposizione ai settori di investimento. Positivi anche i mercati emergenti con la Cina che mantiene il trend positivo di breve dopo le aperture dai rigidi lockdown anti-Covid. Per quanto riguarda i settori globali, buona la positività di energy, tech e ciclici.

In ambito obbligazionario, il calo dei tassi ha dato un sollievo alle principali asset class. Il decennale del Treasury si è portato sui minimi premeeting Fed (area 3,45%-3,50%). È questo un livello particolarmente sensibile che, se violato al ribasso, aprirebbe la strada ad un test di livelli inferiori e l’attestazione che sulla parte lunga della curva intervengono anche altre forze, legate, da un lato, alle prospettive economiche e che comunque non possono sganciarsi molto (ancora) dalla politica monetaria della Federal Reserve, che resta restrittiva. In settimana uno dei membri del FOMC, Bullard, ha confermato alcuni concetti (sarà solo retorica?): il target del 5% come livello dei tassi di interesse, una inflazione in moderazione ma ancora troppo alta e anche la presenza di un eccessivo ottimismo dei mercati sia sul costo del denaro sia una Fed stessa che svolti rapidamente verso una politica monetaria più accomodante. Sul fronte delle stime di mercato, sono due i tagli attesi per i prossimi mesi (prima parte del 2023), ma, anzi, ora si comincia a mettere in dubbio anche il fatto che serva uno 0,50% complessivo. Ci si avvicina comunque all’appuntamento Fed del 2 febbraio con la quasi unanimità per uno 0,25%. Sul finire d’anno, invece, la curva implicita mostra un declino dei tassi ufficiali: non c’è che dire, anche il 2023 sarà un anno molto intenso negli andamenti e nel dibattito. Nella zona Euro il Bund tedesco ha mimato il corso del Treasury, con un decennale che torna mestamente indietro dai massimi di fine 2022 (close 2,15%). Da dire che sul breve le pressioni verso l’alto rimangono quasi intatte e i rendimenti a breve su livelli ‘tosti’ mantengono le curve ancora molto inclinate negativamente.

Settimana positiva per le materie prime, con il basket che guadagna diverse posizioni (+3%), con il recupero di quelle energetiche (petrolio di nuovo in area 80$). Forte upside per i metalli industriali e per l’oro (1.920) che si avvantaggia ancora di un Dollaro debole e di un calo dei tassi reali. Per il petrolio il trend resta negativo, anche se i dati sulle scorte strategiche USA rivelano dei livelli storici piuttosto bassi. Per le altre materie prime industriali, invece, dopo lo ‘sboom’ post scoppio della guerra in Ucraina, le quotazioni hanno ripreso una generale tendenza positiva, compresi ciclici come rame e alluminio.

Anche sul fronte valutario, settimana di volatilità dopo l’uscita del dato del CPI americano. La tendenza ha nuovamente premiato la valuta europea, con il cambio Euro-Dollaro USA capace di rompere i massimi dell’ultimo periodo e inerpicarsi verso area 1,08-1,09, sospinto dall’opinione di mercato che la Fed abbia ormai finito il proprio ‘lavoro’ e che l’economia USA sia ciclicamente più vicina ad una fase di indebolimento. Cripto di nuovo in auge e positive con il Bitcoin che torna ai livelli di inizio novembre in area 19.000, sospinto dal clima da risk-on.

Fonte: ufficio studi Consultique SpA

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