Dopo la settimana scorsa dedicata alle banche centrali (dove la notizia è stata sostanzialmente il “non averne” di cattive), i mercati si prendono una pausa di consolidamento e il tono da risk-on che si era fatto chiaramente percepibile si è gradualmente smussato.

Il Fear & Greed (il famoso indice calcolato dalla CNN) settimana scorsa segnalava un livello “extreme greed” che non si vedeva da tempo e dopo l’ottava appena conclusa si accontenta di livelli inferiori. Una di quelle corse in avanti che qualche settimana fa si segnalava come possibili in questo 2023, dove i mercati stanno tentando di riemergere dalle cattive performance dell’anno precedente. Diverse le spiegazioni trovate per spiegare i segni più anche a due cifre di alcuni listini: dai dati macro migliori delle attese, all’inflazione in decelerazione, dalle banche centrali auspicabilmente a fine percorso fino alle ricoperture tecniche di alcuni grossi player visti i posizionamenti prudenti sulle asset rischiose. E aggiungiamoci anche una piccola palpitazione (che ricorda i tempi ormai andati del 2021 e degli anni precedenti) per il tema dell’intelligenza artificiale, nuova stella del palcoscenico tech. Il tutto poi giustamente viene riportato alla realtà dei fatti, dove il posizionamento hawkish delle banche centrali in realtà non è ancora venuto meno e la volontà è quella di restringere le condizioni finanziarie. Una realtà dove gli utili sono in fase calante e senza questa componente (vero motore di un indice di borsa) sarà difficile dare la giusta benzina ai listini. Questi confronti terranno banco per tutto il 2023, dove restano sullo sfondo anche le tematiche della geopolitica, dove le notizie di una nuova offensiva russa possono ancora condizionare i mercati finanziari.

Il tema degli utili è centrale e la percezione di una loro stazionarietà è una valutazione da correggere. Per l’S&P 500, il declino del quarto trimestre del 2021 è marginale: -2,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso ma con il contributo fondamentale dell’energy che sostiene il valore aggregato. Sul Nasdaq 100, dove tale contributo è assente, la variazione degli utili (finora) è del -15%, sta cominciando a diventare un downside simile a quelli dei movimenti correttivi più significativi per le borse. Ma come è noto, le borse scontano in anticipo questi valori e quello che conta è l’effetto sorpresa: in tale ottica, per il Nasdaq 100 gli utili sono scesi dell’1% rispetto a quanto già atteso mentre per l’S&P 500 il valore è addirittura positivo (+2%). Sintetizzando: le avvenute revisioni al ribasso degli utili sono state via via incorporate nelle valutazioni con l’attenzione che si sposta ora sul tendenziale del 2023. Per quest’anno, analisti ed operatori vedono qualche altro mese di debolezza per poi tornare a crescere e anche su questo si basa il recupero avvenuto di alcune componenti dell’azionario americano.

Sul fronte macro, la settimana è stata meno ricca di altre volte: da segnalare i dati sull’inflazione tedesca che sono usciti complessivamente sotto le attese, confermando la tendenza all’arretramento dei prezzi. Questo però non ha impedito agli indici di chiudere la settimana in negativo: S&P 500 e Nasdaq scendono rispettivamente dell’1% e del 2%, limando la performance positiva da inizio anno. Negativa anche l’Europa (-1,3%) dove in realtà rimane forte come performance FTSE Mib (+1,2%) grazie al movimento del comparto finanziario e dalla forza di Eni. Andando ad analizzare la situazione tecnica dell’S&P 500, si delinea l’importanza delle prossime settimane per il trend generale, visto che il recente andamento ha diviso le opinioni degli analisti: un rally all’interno di un mercato ancora fondamentalmente orso (e quindi per gli indici un nuovo significativo arretramento dopo il recupero) o, in alternativa, il primo abbozzo di un trend che vedrebbe dei minimi sostanzialmente già visti nello scorso ottobre? Tenendo ferma la lettura dinamica intermarket delle variabili economiche, per il momento val la pena monitorare il tentativo in corso, evidenziando dove e come può diventare più fragile. Ecco che, come già espresso nei precedenti commenti settimanali, le aree a 4.000 e 3.900 punti sono chiave e perderle significherebbe far diminuire considerevolmente le possibilità di una configurazione positiva dell’indice americano per i prossimi trimestri. Tra gli altri mercati, in salutare correzione di breve la Cina (-3,5%) dopo i forti guadagni degli ultimi mesi e la Turchia, colpita dal catastrofico terremoto in Anatolia. A livello settoriale, il calo dell’appetito per il rischio ha coinciso con il ritorno in auge di quei settori che nel corso del 2022 hanno meglio interpretato la fase di mercato o che ne hanno limitato l’impatto negativo. La decisione della Russia di tagliare la produzione ha dato quindi boost al comparto Energy (+1,7%), accompagnato da una moderata sovraperformance dei titoli più value, come i finanziari (-0,3%), che rimangono tonici grazie alla tensione che rimane in ambito tassi. Tra le nicchie di mercato, primeggia ora da inizio anno l’ambito dell’intelligenza artificiale seguita dai chip, temi del momento, anche se l’ottava non è stata benevola con i titoli ad alta crescita, con poche eccezioni e migliori risultati dai segmenti inflation-related.

La riunione delle banche centrali della settimana scorsa è stato quasi il terminus di una periodo tutto sommato distensivo rispetto ai mercati, con questi ultimi meno impauriti (o più menefreghisti) rispetto a quello che possono aspettarsi da Powell e Lagarde. I dati relativi al PIL USA e al mercato del lavoro della scorsa settimana hanno però riportato elementi di incertezza circa un ravvicinato raggiungimento dei target necessari per la politica monetaria. Se l’inflazione, infatti, pare essere indirizzata verso una discesa nel breve, qualche dubbio arriva in un orizzonte di medio termine, proprio a causa della costanza di forza dell’economia. In tale ottica, sarebbe difficile per la Fed ridurre l’aumento dei prezzi verso i target, costringendo ad interventi più energici. Se, da un lato, si può annotare che gli effetti di tassi in aumento e della riduzione del bilancio Fed si vedranno più avanti, dall’altro va considerato che anni di politiche monetarie accomodanti continuano a fornire evidentemente supporto all’economia. Sono tornati a farsi sentire gli esponenti stessi del FOMC, con ‘cannoneggiamenti’ vari in favore di una politica monetaria che resti ancora restrittiva. Secondo alcuni analisti, le ipotesi di tassi anche al 6% non sono così isolate.

Il tasso implicito FED per dicembre 2023 ha preso atto di questo sentiment dei vari governatori (+30 bps rispetto alla scorsa settimana), scontando, quindi, un valore di poco inferiore al 5%, con un solo ipotetico taglio del costo del denaro (-0,25%) invece di due, dopo il top previsto per metà anno al 5%-5,25%. La parte breve della curva resta (o torna ad essere) particolarmente tesa e non solo negli Stati Uniti ma anche nell’Eurozona dove il sentiment sui tassi resta fortemente impostato verso rialzi progressivi e corposi nei prossimi meeting. Il decennale USA ha ripreso quindi a salire (close in area 3,75%) con un ripiegamento quindi del segmento governativo. Per simpatia di simmetria, anche il Bund torna al 2,35% ed entrambe le curve (USA ed Europa) vedono una forte e persistente inclinazione tra scadenze brevi e lunghe. Il rialzo dei tassi fa calare l’ambito corporate, più nell’area Dollaro che in quella Euro.

In ambito materie prime, dopo la debacle della scorsa settimana, il paniere rimbalza di circa l’1,5%, grazie al ritorno di segni più sul comparto Energy (+6,8%). Importante la notizia relativa alla riduzione della produzione russa, con il petrolio che continua il suo ondeggiamento e torna a quota 80$. Stabile l’oro a 1.860- 1.870 $ mentre i metalli industriali ritracciano non poco (-3,4%) il movimento rialzista di gennaio legato alle riaperture dell’economia cinese.

Per quanto riguarda le valute, debolezza generalizzata per l’Euro, che perde in tutti i cross (USD, GBP, CHF, JPY). La retorica Fed ha un ruolo significativo in questo ed il cambio incorpora le view dei membri del FOMC, riportando il cambio sotto 1,07. Il ritracciamento mette a rischio il trend rialzista del cambio, con possibilità di estensione fino a quota 1,05. Dopo il rally ritracciano anche le cripto dopo i forti apprezzamenti di inizio anno (Bitcoin a 21.600, -7% settimanale).

Fonte: ufficio studi Consultique SpA

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