Il quadro generale dei mercati ha visto in settimana un iniziale (parziale) rasserenamento nell’ottava appena conclusa, una reazione quasi ‘dovuta’ visto che si era concluso in malo modo un mese tra i peggiori degli ultimi anni.

Da inizio anno, con il tracollo dell’azionario e la forte correzione su quello obbligazionario, i portafogli multiasset hanno avuto poco scampo, con la flessione più pesante dal 1931. La distruzione di ‘ricchezza finanziaria’ del 2022 supera ormai di gran lunga quella del 2008, quando con Lehman Brothers si affrontò una vera e propria crisi finanziaria sistemica che sfociò anche in una caduta economica. Plausibile, quindi, che un minimo di rimbalzo (se non altro di natura tecnica) fosse nell’aria, anche perché la tensione sui mercati (con epicentro più sul mercato obbligazionario che su quello azionario) si era attestato su livelli particolarmente alti dopo lo scampato incidente sui titoli di stato inglesi e il peggioramento dello scenario geopolitico e militare nell’Est Europa. Il quadro resta comunque parecchio delicato, con l’azionario ancora in bilico sui minimi dello scorso giugno e l’obbligazionario che guarda alle banche centrali con la speranza di veder mutato, in senso meno restrittivo, l’atteggiamento nella politica monetaria. Intanto il Vix rimane su livelli elevati (30) al di sotto ancora di quell’area 35 che ha delimitato i contorni di volatilità negli ultimi mesi. L’ottava si chiude con guadagni, ma ben al di sotto dei massimi settimanali, dopo il (buon?) dato sulla disoccupazione USA.

In ambito azionario, l’indice MSCI World ha concluso la settimana con un rialzo del 1,7%, un modesto rialzo in questo inizio di mese dopo che settembre come detto era stato avaro di soddisfazioni per gli investitori. Un risultato che non permette però di rientrare al di sotto del -20% da inizio anno e confermando ancora una volta che siamo in un bear market e all’interno di un decorso che deve ancora trovare conclusione. L’indice S&P 500 ha concretamente minacciato la rottura dei livelli dei minimi dello scorso giugno (area 3.650) riuscendo però, per il momento, a non capitolare in maniera definitiva. Una grossa mano l’ha data certamente la situazione di ipervenduto presente sui listini, con i venditori che erano probabilmente a corto di munizioni. Il rimbalzo conseguente ha portato il listino a toccare area 3.800, poca roba ancora per sperare di invertire la tendenza attuale, disegnata attraverso massimi decrescenti durante tutto il 2022 (4.800-4.600-4.300). L’ultimo ‘pivot’ per l’indice americano è stato quello di metà/fine agosto (fine rimbalzo a 4.300), quando la Fed ha chiarito che per contrastare l’inflazione servirà un atteggiamento molto restrittivo nella politica monetaria, con rischi che verranno presi anche in ambito economico. Quanto dipenderà dalla capacità di resistenza dell’economia USA ma il processo di superamento dell’attuale fase appare ancora lontano dal termine. Anche perché i dati di disoccupazione USA usciti (3,5% vs 3,7%) mostrano ancora un’economia in salute. Come al solito, le buone notizie in questo frangente diventano cattive notizie, in quanto foriere di interventi Fed sui tassi.

Il rimbalzo degli indici USA (S&P +1,7%) ha premiato poco i tech (Nasdaq +0,7%), quest’ultimo indebolito dalla risalita dei tassi. Discreta la risalita degli indici europei (in media attorno al +1%/+1,5%) mentre ha ben capitalizzato i guadagni il Nikkei (+4,5%, con un risultato da inizio dell’anno ad un sorprendente -3,3%). Positivi, dopo la debacle della settimana scorsa anche i paesi emergenti (+2,5%). A trascinare i listini il comparto energy (+11,2%) grazie al rimbalzo del prezzo del petrolio, ma bene le varie nicchie tech innovative, agribusiness e settori legati alle commodities. Molto colpite le Utilities e il Real Estate.

Le performance delle asset class obbligazionarie in questa settimana sono state leggermente negative per i titoli governativi mentre qualche recupero maggiormente significativo si è visto nell’ambito corporate high yield, che beneficiano del clima maggiormente costruttivo (o quanto meno di rimbalzo) visto sull’azionario. La scorsa settimana era stata ampiamente condizionata dal newsflow proveniente Oltremanica, con il momento critico vissuto dalla finanza inglese e in particolare dai fondi pensione. La stessa Bank of England ha ammesso nei giorni scorsi ha ammesso che la situazione stava per sfuggire di mano, con effetti che potenzialmente potevano propagarsi ulteriormente. Nella prima parte della settimana i mercati avevano saputo vedere, almeno momentaneamente, una sorta di ‘bicchiere pieno’: il retromarcia operato dalla Banca centrale nei suoi propositi restrittivi (seguito poi anche da quello del governo inglese sul piano fiscale) può rappresentare il segnale di un limite che le banche centrali non possono oltrepassare con il loro ‘tightening’. Tanto più se avviene in una fase dove i mercati non aspettano altro che una parola dolce da parte di Fed e BCE, le quali, stanno attuando, forse con una durezza voluta, un’operazione anche di recupero di credibilità, dopo gli errori del 2021.

A stemperare qualche elemento di moderata speranza di tassi in raffreddamento ci hanno pensato comunque i vari governatori della Federal Reserve e, soprattutto il dato di disoccupazione americano, con gli indici azioni che sono sprofondati nella seduta di venerdì e con i tassi che hanno ripreso a salire con forza. La settimana ha proposto in sequenza una serie di dichiarazioni tutte votate a confermare la vocazione ‘hawkish’ della banca centrale americana. Kashkar (Fed di Minneapolis) si è detto convinto del raggiungimento del target di inflazione che la Fed persegue (2%) ma anche che non si vedono al momento progressi significativi o sufficienti. Secondo le Fed si è distanti dal poter parlare di una pausa nel processo di rialzo dei tassi ed è improbabile che nel 2023 si possa verificare. Buona parte degli operatori finanziari si chiede se questa politica monetaria così rapida (mai nella storia vi è stato un ciclo di rialzi così rapido come quello del 2022) sia sopportabile dall’economia globale, ma è la stessa Fed (qui l’atteggiamento duro) a dire che si aspetta perdite e fallimenti mentre i tassi aumentano. Un atteggiamento sorprendente da chi fino a non troppi mesi fa non si faceva problemi a spargere liquidità illimitata sui mercati. Intanto, tra tutti i paragoni che emergono da parte degli analisti, quello più verosimile appare quello con il ciclo 2000-2003, dove vi fu un percorso recessivo di una certa lunghezza, con il ripristino di valori fondamentali depurati dalla DotCom Bubble del 2000. Per quanto riguarda il mercato, settimana di alti e bassi per il decennale USA, prima in calo fino al 3,55% e poi in risalita (close al 3,88%). Stesso percorso per i tassi zona Euro, con i Bund che sul finale d’ottava riprendono tono e tornano sopra il 2% (2,20%), vanificando i momentanei recuperi dei primi giorni della settimana. Anche i BTP ritornano a puntare verso l’alto (4,70% a 10Y). Da notare come sulla parte breve della curva della zona Euro ormai si vedano rendimenti positivi che si erano ormai dimenticati da tempo (BTP a 2 anni al 3,12%).

In ambito materie prime, settimana molto positiva per l’asset class (+5%), soprattutto per il forte rimbalzo del petrolio (+16,5% a 92,6$), rafforzato dalla decisione di taglio della produzione da parte dell’Opec. Tentativo di tornare sopra 1.700$ per l’oro (+2%), e segni verdi per buona parte dei metalli industriali. Saldo poco mosso per il cross EURUSD: respinto da area 1 è tornato in close verso quota 0,97/0,98, rimanendo all’interno della tendenza rialzista per il biglietto verde.

Fonte: ufficio studi Consultique 

Management Creare e Comunicare | Coding Digitest.net | Package Mercury - Ver. 1.0.8