Il ‘viaggio’ settimanale dell’indice S&P 500 ha visto l’indice americano toccare livelli di allarme significativi, con l’approssimarsi dei minimi fatti registrare tra febbraio e marzo (area 4.100-4.200).

Del rally visto a marzo non è rimasto nulla, segno che, da un lato, la volatilità è ancora un elemento persistente nel contesto attuale e che, dall’altro sono diversi i ‘fronti’ aperti su cui gli operatori sono impegnati. Non solo di natura finanziaria ma anche di natura geopolitica, come è ben noto: gli ultimi 10 giorni hanno visto infatti un escalation nei toni tra Russia e Occidente, con nuovamente a farsi largo lo spauracchio di una estensione del conflitto in Ucraina. Se Mosca continua la propria invasione a cui sono legati obiettivi strategici sempre più definiti, dall’altra parte l’Occidente risponde ancora con sanzioni e soprattutto con l’invio di quantitativi di armi maggiori. Rimane distante quindi la possibilità di una rapida fine del conflitto, considerando anche che da parte russa si continua ad utilizzare l’arma delle forniture energetiche per rafforzare la propria posizione. Come detto, però, l’aspetto bellico è solo uno degli elementi che stanno condizionando i mercati da ormai qualche mese.

Altri aspetti sono certamente tutte quelle valutazioni, come detto, più di natura finanziaria, che interessano da un lato l’atteggiamento delle banche centrali mondiali, impegnate quasi unidirezionalmente verso politiche monetarie restrittive, e, dall’altro l’andamento degli indicatori macroeconomici e fondamentali. Sul primo tema è ben noto il posizionamento restrittivo della Fed, per la quale sale l’attesa del meeting previsto per inizio maggio, dove dovrebbe prendere piede l’accelerazione in tema di rialzo dei tassi di interesse. Inevitabile osservare come il mercato sconti di settimana in settimana sempre più interventi nel 2022. Sull’aspetto invece macro e fondamentale PIL americano ed earnings season sono stati i temi di maggiore interesse. L’uscita di PIL trimestrale al -1,4% annualizzato ha sorpreso in negativo gli investitori (le attese erano per un +1%), con Wall Street confusa nelle reazioni: ad un mini rimbalzo iniziale (forse ipotizzando una Fed meno ‘dura’) è seguito poi un vero e proprio venerdì nero con chiusure sui minimi. Nel dato di PIL ha inciso il peggioramento del deficit commerciale ed il calo degli stimoli fiscali, mentre i consumi per il momento rimangono tonici con un +2,7%. Il saldo delle trimestrali USA in settimana è stato altalenante: per le deludenti Amazon, Intel e Alphabet, ci sono stati invece i dati positivi per Meta e Microsoft. Elementi che non sono però bastati per sostenere gli andamenti.

Un contesto generale, quindi, che porta l’S&P 500 a testare ormai i minimi di marzo (area 4.100-4.200), con una debolezza abbastanza evidente, La tendenza tecnica dell’indice americano resta infatti negativa nel breve e medio termine, con ostacoli duri da superare anche in caso di rimbalzi temporanei, prima di poter parlare di ritrovata serenità. I rischi di un downside più ampio di quello visto finora sono uno scenario di cui tenere conto nei prossimi mesi, viste le problematiche investono le prospettive di crescita e gli atteggiamenti restrittivi della Fed. La volatilità è risalita sopra area 30, confermando la fase recente di tensione.

In ambito settoriale, deboli tutti i comparti globali con percentuali di minor perdita per i settoriali difensivi (Consumer Staples) o legati alle materie prime (Materials ed Energy). Anche tra i tematici, tutti segni meno: l’ondata di vendite è stata generalizzata e da inizio anno restano in positivo solo i settori legati all’energia o all’agricoltura.

In ambito materie prime, dopo lo stop della scorsa settimana, hanno ripreso a far bene le commodities energetiche, con il greggio tornato in area 105 $ (+2,5%) assieme al gas (+11%). In declino invece i metalli industriali (-5%), in andamento decorrelato rispetto al resto. Di poco positive le materie prime agricole, mentre il Dollaro forte deprime l’oro (sotto i 1.900 $).

L’ambito bond, dopo settimane di debolezza generalizzata che ha portato ad uno dei periodi più neri per il tasso fisso, ha cercato una sorta di stabilizzazione o pausa nell’andamento rendimenti, che restano comunque caratterizzati da una configurazione tecnica rialzista. L’atteggiamento delle banche centrali rimane indirizzato a gestire la fiammata inflazionistica in corso e che ha portato ai maggiori valori degli ultimi 40 anni. Nell’ultima ottava sono usciti i dati dell’inflazione europea: +7,5% ad aprile su base annua, in linea con il consenso degli analisti e in leggera accelerazione rispetto al +7,4% di marzo. Variegate però le situazioni sul costo della vita sui diversi paesi dell’Eurozona: +4,8% per la Francia, +6,2% per l’Italia (leggermente in calo rispetto al +6,5% precedente). Giovedì i dati in Germania (7,4% vs 7,3% precedente) avevano confermato come per il Vecchio Continente la vicinanza al conflitto russo-ucraino e la maggiore dipendenza dalle fonti energetiche di Mosca fosse un problema non da poco per l’Eurozona. La situazione bellica rimane uno degli elementi chiave per la persistenza di valori di inflazione così elevati, tanto più che l’inasprimento dei toni tra la Russia e l’Occidente potrebbe portare ad uno stop delle importazioni di gas e petrolio da parte di quest’ultimo.

Non è solo l’inflazione il focus per i policy makers di banche centrali e governi, c’è da fare i conti anche con la crescita economica, indebolita proprio da quanto sta accadendo nell’Europa dell’Est e con prospettiva di ulteriore deterioramento. Detto degli Stati Uniti, dove il PIL del primo trimestre ha visto un sorprendente segno meno, anche nell’Eurozona la situazione fa i conti con uno stop al forte recupero/rimbalzo visto post Covid. L’Italia risulta già essere il paese più colpito (-0,2%), seguito da Francia (invariato), Germania (+0,2%) e Spagna (+0,3%), dopo trimestri dove invece vi era stato una sequenza di crescita sostenuta. Tutti elementi che le banche centrali valutano con attenzione ma con un potere di manovra piuttosto limitato fin tanto che non si raggiunga un picco nei valori del costo della vita e che non intravveda una fase di ritracciamento. Difficile da pensare se si considera il contesto internazionale che vede un conflitto ben lontano dalla risoluzione.

I numeri del mercato obbligazionario visti in settimana evidenziano qualche marginale recupero per gli indici del reddito fisso: un movimento fisiologico dopo una prolungata fase di debolezza. Il decennale americano, una volta avvicinatosi al muro del 3% ha leggermente ritracciato in area 2,70%, per poi tornare su livelli superiori sul finale (2,93%) e mantenere la propria impostazione rialzista. Simmetrico il percorso sul Bund tedesco, la cui soglia critica (1%) è stata sfiorata e ha opposto resistenza (storno fino a 0,80% e poi close di poco inferiore all’unità). Diverso il caso dell’Italia: il decennale continua la sua volata e chiude la settimana al 2,77%, valore ai massimi da marzo 2020. Particolarmente interessanti i dati che hanno mostrato le aspettative di inflazione di Germania e USA: le prime (a 10Y) hanno sfondato quota 3% mentre le seconde restano molto vicine al medesimo livello.

Sugli altri segmenti obbligazionari, segni meno per il corporate investiment grade, così come per gli High Yield che hanno continuato a manifestare ancora debolezza, mantenendo la correlazione con l’azionario. Per tutte e due le categorie, da monitorare la tendenza rialzista degli spread di credito, di nuovo tornati a salire. Al pari i paesi emergenti fanno fatica a recuperare, sia nelle esposizioni hard currency che in quelle in valuta locale.

Per quanto riguarda i cross valutari, sui mercati si è visto un netto rafforzamento del cross Euro Dollaro che ha toccato nuovi minimi, anche sotto quota 1,05. Gli operatori continuano a ritenere dominante la politica monetaria della Fed mentre per l’Europa le prospettive sono decisamente meno favorevoli. Ancora forte il Rublo russo (+9%). Criptovalute deboli e Bitcoin sotto 40.000 $.

Fonte: ufficio studi Consultique SpA

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