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Dopo la settimana scorsa dedicata alle banche centrali (dove la notizia è stata sostanzialmente il “non averne” di cattive), i mercati si prendono una pausa di consolidamento e il tono da risk-on che si era fatto chiaramente percepibile si è gradualmente smussato.
È stata la settimana delle banche centrali, come atteso, ma non sono mancati importanti temi economici di contorno ma ugualmente significativi. Mai forse come in questa occasione i mercati attendevano con impazienza quando avevano da dire Powell e Lagarde ed è comprensibile dopo mesi in cui FED e BCE hanno impresso una accelerazione mai vista alla politica monetaria per domare l’inflazione esplosiva avuta nel 2022. Le dichiarazioni arrivate sono state nel complesso più soft di quanto ci si aspettava in quanto i banchieri centrali, da un lato, hanno confermato quanto già detto in precedenza, dando però stavolta l’impressione che si stia aprendo un piccolo spiraglio per vedere la luce nel tunnel dei rialzi continui del costo del denaro. La Fed è vicina a questo target (quello di marzo potrebbe essere l’ultimo prima di una pausa, non un ‘pivot’) mentre la BCE, più rigida, ha fatto capire che ci si sta avvicinando: il lag temporale tra i due percorsi rimane ma tendenzialmente è in fase di riduzione. Questo è bastato alle borse per innescare un rally guidato dai Tech americani, ma anche per far precipitare i tassi a medio lungo, con riduzioni corpose, almeno fino a giovedì, specie sulla zona Euro. Un boost quasi ‘sentito’ dagli indici che già nelle scorse settimane forse subodoravano la possibilità di non essere ‘bastonati’ come successe a dicembre. Se questo è stato il piatto principale della settimana, le portate successive del menù non sono state da meno: le trimestrali americane degli stessi big della Tecnologia (Alphabet, Amazon e Apple) hanno nel complesso deluso e i dati macroeconomici del venerdì hanno un po' limato quello che era stata una settimana estremamente positiva sia per le azioni che per i bond.
Che le revisioni degli analisti siano in trend negativo è noto da ormai diversi mesi: il mondo della tecnologia sta licenziando ed è palpabile il cambio d’umore in ambito economico finita la sbornia del post-Covid. Un trend che è naturale ma che, in realtà, non riguarda solo i tech ma in generale diversi comparti (solo l’Energy vanta ancora buone dinamiche su questo fronte), con gli analisti che diversamente dall’anno scorso ora revisionano al ribasso in modo prudenziale per il resto dell’anno. Se il calo dei tassi aiuti i multipli di valutazione, meno utili inevitabilmente potrebbero condizionare in negativo e questo contribuito ai segni meno della giornata di venerdì. Anche sul fronte macro sono diversi gli elementi che hanno fatto da contrappeso al buon recepimento di quanto emerso dai meeting delle banche centrali: i nuovi payrolls (con un numero monstre rispetto alle attese), il calo della disoccupazione USA (ora ad un nuovo minimo, 3,4%), l’aumento degli stipendi e l’ISM dei servizi sono fattori che potrebbero segnalare da un lato forza economica ma, dall’altro, inflazione che rimane alta.
La settimana appena conclusa porta in dote nel complesso un ulteriore segno più per le borse, con S&P 500 e Nasdaq in aumento rispettivamente del +1,6% e del +3,4%. Vivace anche l’Europa (+1,9%) che segue ora Wall Street dopo aver condotto le danze, in termini di forza relativa, nel 2022 ed inizio 2023. L’S&P 500, dopo aver rotto la tendenza negativa dello scorso anno, ha superato al rialzo area 4.100 (dove a dicembre vi era stato lo stop ‘shock’ legato alle banche centrali) e ha rivisitato i 4.200 punti, chiudendo venerdì però in ritracciamento da questo livello. Serve a poco sia fare i catastrofisti (i “permabear” abbondano) ma anche non tener conto di un contesto finanziario con dei rischi insiti nei mercati: il rallentamento degli utili c’è, così come quelli legati a banche centrali che d’improvviso diventerebbero colombe inoffensive. Un approccio tecnico (ma legato insieme alla lettura degli utili aziendali e di quelli macro) definisce alcune soglie di allarme che devono essere individuate per salvaguardare il tentativo degli indici di ricreare una tendenza positiva. Area 4.000 e area 3.900 in primis di S&P 500 sono le linee del fronte del nuovo ‘bocciolo’ rialzista ma sotto le cose si farebbero nuovamente serie e deleterie. Il minimo di dicembre a 3.800 è un Commento ai mercati 9 livello poi un doppio allarme per individuare un nuovo cambio di sentiment. Come si sa, i mercati anticipano tutto e forse troppo: è bene non mancare le opportunità positive ma nemmeno ignorare frettolose corse in avanti. Sul breve qualche elemento di ipercomprato può portare a consolidamenti dei guadagni.
A livello settoriale, i risultati premiano senza ombra di tutto l’ambito della tecnologia con tutti i suoi rivoli e nicchie. Non solo questo, la settimana ha operato una netta rotazione settoriale che ha fatto uscire denaro da molti difensivi alla ricerca di ‘beta’ più marcati (e a più lunga ‘duration’ come i Growth) e su settori martoriati dal 2022). Negativi in particolare l’Energy (-4,9%), Utilities e Materials/Miners. Exploit per nicchie come Intelligenza Artificiale, Robotica e Chip.
Se non ci fosse stata la limatura di venerdì, per il comparto obbligazionario sarebbe stata una settimana di buoni guadagni, con una festa assieme all’equity che avrebbe fatto la felicità dei portafogli bilanciati o multi-asset. Intanto vale la pena riassumere sinteticamente quanto detto da Fed e BCE, iniziando dalla banca centrale americana. Powell è apparso come un responsabile di politica monetaria che, dopo aver tardissivamente iniziato la propria politica di contrasto all’inflazione, ora si ritrova in una posizione più tranquilla e difendibile. Sa di aver comunicato al mercato il suo pensiero (tassi ‘Higher for longer’) quindi le corse in avanti per ipotizzare un cambio di stance della Fed sono responsabilità ora dei mercati. La Fed dice che non è il momento di pensare a riduzioni sui tassi ma che, sul fronte macro, si ha un processo di disinflazione che è iniziato e che presumibilmente continuerà nei prossimi mesi. Certo, in alcuni ambiti servirà del tempo ma su questo la Fed vigilerà, così come sulle tensioni provenienti dal mercato del lavoro, dove i dati confermano un ambiente ‘tirato’. I mercati hanno annusato il goldilocks (crescita moderata e inflazione in riduzione) e sull’equity scontano lo scenario futuro. Lato BCE, Lagarde ha evitato scivoloni che altre volte avevano preoccupato i mercati, confermando i rialzi dei prossimi mesi (0,50% marzo e 0,50% successivamente) ma senza altre novità in senso negativo.
I tassi in questa settimana hanno mostrato un evidente ottovolante: il Bund a 10 anni ha prima atteso Lagarde per poi precipitare fino al 2,05% e recuperare i livelli di inizio ottava al 2,20%. Percorso simile ma con movimenti da record anche per il BTP pari scadenza: dal 4,30% di intraweek top giù fino al 3,86% per poi chiudere sopra il 4%. I dati relativi al mercato del lavoro di venerdì hanno fatto volare i rendimenti dei Treasury, fino a quel momento depressi (minimo a 3,35%, close al 3,52%). Il tutto conferma che le dinamiche intermarket restano fluide e che un’economia USA in buona salute andrà ancora gestita da parte delle banche centrali. I mercati comunque mantengono una view di medio termine dove BCE e FED effettueranno la virata sui tassi. Buoni i recuperi per HY e Corporate.
In ambito materie prime, decisa debolezza (-4%) del paniere generale che manca ancora una volta la conferma di potersi rilanciare verso l’alto. Colpa…di tutti i segmenti, ad eccezione delle agricole, con in testa l’Energy (-10% il basket dato da -8% del petrolio Wti e dal -22% del gas, quest’ultimo -46% da inizio anno). Smentiscono i recenti segni più i metalli industriali ma anche quelli preziosi, con l’oro che torna mestamente sotto quota 1.900 $, vista la forza del Dollaro USA.
Per quanto riguarda le valute, il cambio EUR-USD ha prima vissuto un momento molto positivo con un top a 1,10 seguito però da un ritracciamento altrettanto corposo, con un close finale a 1,08. Il trend resta impostato verso l’alto, ma le dinamiche attuali di politica monetaria ed economiche potrebbero portare a qualche cambiamento nei rapporti di forza, dando una mano al biglietto verde. Male la Sterlina, dopo che la Bank of England si è messa in pausa nel rialzo dei tassi.
Fonte: ufficio studi Consultique SpA
Le borse hanno continuato a tenere un tono positivo e costruttivo, con rialzi generalizzati e poche eccezioni dove, stavolta, è stata Wall Street a fare la parte del leone tra i listini internazionali.
Il rialzo di inizio 2023 si prende una piccola pausa in questa ottava, con le borse che, nella prima parte dell’ottava, hanno ripiegato dopo l’ottima partenza nella prime ottave dell’anno, anche se poi la chiusura USA è stata in buon recupero.
Non dovrebbe farlo (il 2022 nella mente degli investitori pesa ancora!), ma la settimana appena conclusa sui mercati finanziari internazionali è riuscita a portare in positivo sia i listini azionari che quelli obbligazionari, con segni più incoraggianti in quello che è un inizio d’anno particolarmente favorevole in logica multi-asset.
Le tematiche del 2022 continuano a ripresentarsi anche in questo inizio di nuovo anno, quasi a confermare che per districare la matassa creatasi nell’ambiente finanziario richiederà tempo e pazienza per gli investitori. La dinamica settimanale, infatti, presenta molti dei protagonisti del ‘film’ dell’anno scorso, con i mercati desiderosi di archiviare un anno nero per i rendimenti azionari e obbligazionari e avviare magari un recupero di quanto perso nel 2022. La sensazione è infatti di listini pronti a scattare (come successo nella giornata di venerdì) non appena si presentino alcune condizioni chiave per una ripartenza. Finora, i tentativi sono andati tendenzialmente a vuoto: sia i rally di agosto che quello di ottobre scorsi sono stati seguiti da altrettanti ritracciamenti, colpa soprattutto non tanto dei dati macro ma dalla rigidità delle banche centrali, poco inclini a cambiare traiettoria nelle loro politiche e timorose di finire ‘troppo presto’ il loro lavoro, vanificando quanto fatto finora con la fase di restrizione monetaria in corso.
Dal punto di vista dei dati macroeconomici, l’ottava è stata complessivamente utile per alcune considerazioni: l’inflazione è in fase di svolta verso il basso e la conferma arriva da quanto rilasciato nell’Eurozona, con valori in contrazione per Francia, Germania e (se pur in tono minore) anche per l’Italia. Si parla di prezzi al consumo e di prezzi alla produzione, con una prosecuzione delle distensioni già viste sul finire del 2022. Certo, i valori anno su anno, restano alti, ma almeno su questo aspetto il mercato può rasserenarsi (almeno per il momento). Dove vi è meno univocità negli andamenti è sul piano squisitamente economico: le risultanze sul mercato del lavoro USA mostrano ancora piuttosto tonico (disoccupazione in calo al 3,5%), fattore che potrebbe non essere gradito da parte della Fed. Se non si manifesta qualche debolezza, dice la banca centrale americana, difficile pensare ad una estirpazione definitiva del fenomeno inflattivo. La combinazione “no-inflation/no-recession” è effettivamente stretta sul piano macro.
La dinamica delle borse in questa prima settimana dell’anno ha visto diversi cambi di direzione: una prima corsa in avanti degli indici, il raffreddamento degli entusiasmi dopo il rilascio dei verbali dell’ultimo meeting Fed ma anche una chiusura finale con un nuovo bel balzo in avanti. Il tutto accompagnato anche da un’ampia dispersione dei rendimenti sia tra aree geografiche ma anche tra scelte settoriali da parte degli investitori. Wall Street trova sul finale d’ottava prima la forza di tenere le soglie critiche di breve e poi di avviare un altro presumibile tentativo di risalita. Area 3.800 di S&P 500 rappresenta due cose: una soglia rilevantissima per impedire un test dei minimi di ottobre (quota 3.500-3.600) ma anche un valore mediano tra quei minimi e l’ultimo massimo relativo di metà dicembre (quota 4.100). Come se si fosse individuata una sorta di area di attese prima di prendere la direzionalità annuale. Il cronometro scorre e non manca molto ad una ‘resa dei conti’, che avverrà probabilmente in questi primi mesi del 2023. Detto delle dinamiche tassi e banche centrali, manca all’appello anche la tonalità degli utili aziendali.
Da un lato, quindi, Wall Street continua, comunque, a temere la Fed: il rilascio dei verbali della Fed del meeting di dicembre mostra una banca centrale che da un lato propone la ‘carota’ agli investitori (i rialzi saranno più graduali) ma dall’altro ammonisce sulle corse in avanti sul resto dell’anno, mostrando quasi fastidio nel vedere rialzi veementi delle borse o degli indici obbligazionari. La reazione positiva nella giornata di venerdì avviene nonostante gli ottimi dati del mercato del lavoro (payroll, disoccupazione) ma si sa, gli operatori in certi frangenti, ‘vogliono’ vedere il bicchiere mezzo pieno, riscontrabile in una economia da ‘soft landing’ (con poco impatto quindi negli utili aziendali). La lettura positiva è soprattutto sul fronte della crescita dei salari: +0,3% mensile (vs +0,4%) e +4,6% anno su anno (vs +5%), segnali di una possibile moderazione. Sulla falsariga, quindi, di quanto visto in Europa sul fronte dell’inflazione: forse una lettura audace, ma ai mercati piace pensare ad una economia stabile e con inflazione in moderazione, avendo già prezzato nel 2022 il re-rating legato a tassi e multipli. Intanto sull’S&P 500 arrivano ora le prime resistenze tecniche (3.900 in primis) per una verifica di quanto visto in questa ottava. Tonica l’Europa che si vede destinataria di flussi in entrata nonostante anche la BCE sia in fase restrittiva ma la composizione più value pone il Vecchio Continente un po' più al riparo in questa fase. La settimana si chiude con indici europei in progresso del 5%-6% mentre Wall Street rimane più indietro (S&P 500 +1,5% e Nasdaq +0,9%). Settorialmente, ottimi segni più per i ciclici (Materials, Financials, Beni discrezionali) mentre hanno arrancato difensivi come l’Health, oltre alla strana coppia Energy/Tecnologici (se pur con motivi diversi).
Prima settimana positiva per l’obbligazionario dopo una seconda metà di dicembre (dopo i meeting di BCE e FED) difficile per gli investitori. Soprattutto nell’Eurozona si sono visti cali nei rendimenti, sia sulla parte a breve che a medio lungo della curva. I dati sull’inflazione europea hanno certamente aiutato, seguiti poi da quelli sul mercato del lavoro USA. Si chiude con un Bund tedesco a 10y al 2,2% e un Treasury 10y in area 3,60%. Sul fronte delle attese sulla politica monetaria, si confermano i top in area 5% per la Fed e del 3,5%-4% per la BCE, con del lavoro da fare quindi soprattutto per la seconda. Da sottolineare come il mercato sia più ‘ottimista’ sulla successiva inversione, credendo ancora poco alla durezza di BCE e FED: non si andrà più in alto di certi livelli e poi presumibilmente si ritornerà sui propri passi.
Settimana debole per le materie prime, con il basket che perde il 4%: a concorrere ancora la debacle del gas (altro -17%) ma anche del petrolio (74$, -8%). Deboli anche metalli industriali e agricole, con solo l’oro (1.865) ad essere positivo, assieme ad altri metalli preziosi visto il netto calo dei tassi reali. Anche sul fronte valutario, settimana di volatilità, con un momentaneo ritorno di forza per il Dollaro USA (1,05) ma con una successiva inversione sul finale che riporta i valori quasi al punto iniziale (1,065) dopo i dati macro USA sui salari. Anche in questo caso il mercato ha dato più peso alla tesi di una Federal Reserve che può essere più vicina al target di politica monetaria rispetto alla Banca Centrale Europea.
Fonte: ufficio studi Consultique SpA